Il testo del Gruppo del mercoledì “Sulla violenza. Ancora” è stato discusso sabato 10 febbraio alla Casa internazionale delle donne di Roma. Proponiamo qui una sintesi, parziale, della discussione, a cui seguirà la pubblicazione di singoli interventi, in parte rielaborati. Chiediamo a chi ha parlato – e anche a chi desideri intervenire sul tema – di farci avere, se lo desidera, un contributo da pubblicare. (Il resoconto si basa del tutto soggettivamente su appunti personali, con varie lacune di cui mi scuso, non essendo disponibile una registrazione. Alberto Leiss)
All’inizio dei lavori la presidente della Casa internazionale delle donne Francesca Koch ha ricordato la trattativa con il Comune di Roma per ottenere piena garanzia sulla continuità della sede e dell’attività della Casa nello storico edificio di Via della Lungara. Koch ha criticato l’incapacità dimostrata finora dall’amministrazione capitolina nel proporre una mediazione capace di risolvere i problemi aperti e di assicurare la vita e l’ulteriore sviluppo di una realtà importante a livello nazionale e internazionale come la Casa (il cui caso è peraltro inserito in una più generale incapacità politica di definire un quadro razionale e certo dell’uso degli spazi pubblici e delle attività culturali e sociali a Roma).
Il confronto è stato aperto da Letizia Paolozzi (qui il testo integrale) che dopo aver riflettuto sui recenti “fatti di Macerata” e sul dibattito pubblico che ne è seguito ha proposto di sviluppare il tema della violenza e della relazione tra i sessi cercando anche una pratica politica e linguistica capace di andare oltre il tradizionale gesto della manifestazione di piazza. Guardando per esempio agli incontri tenuti negli anni dalle Madri della Plaza de Mayo: occasioni per insegnare e imparare a vivere in relazione, raccontando anche “l’idea che abbiamo della società”
– Donna docente alla Sapienza – D’accordo a affrontare il tema della violenza su più fronti. Compreso quello che donne anche in buona posizione sociale, come le insegnanti, soffrono per avere comunque maggiori responsabilità nella cura dei figli e della casa. Il peso degli stereotipi si riproduce poi nei casi di violenza estrema come il femminicidio: c’è un nesso che si riflette nella fatica linguistica e simbolica che perdura nel nominare, per esempio, le professioni che le donne affollano con le opportune declinazioni al femminile (vedi le desinenze in –essa che rimandano a una cosa piuttosto che a una persona).
– Serena… – C’è da preoccuparsi del pericolo di un vero e proprio colpo di stato fascista? Sembra essere tramontata la speranza di una convivenza pacifica. Anche tra i “compagni” vediamo emergere una ripulsa verso gli immigrati. Elementi di violenza connotano la campagna elettorale. La nostra reazione non può ignorare l’esigenza di agire anche in rete nei social.
– Lia Cigarini – (qui l’intervento integrale) E’ comprensibile l’orrore per i personaggi che hanno agito violenze come quelle di Macerata e di Milano. E il conseguente desiderio di rivalsa contro gli uomini. Bisognerebbe però leggere con attenzione anche chi sono queste ragazze colpite, guardare se nelle loro biografie così drammatiche e tormentate non emerga – per quanto in modo anche “folle” – un desiderio di autonomia e di libertà. Una spinta che può fare agire donne che si espongono a situazioni estreme per uscire da una gabbia che le opprime.
– Salvatore Monni – L’esperienza di esami in carcere con autori di violenze gravi fino all’omicidio fa vedere che questi uomini non sono lontanissimi dalle nostre stesse esistenze. La violenza non ha distinzione di classe sociale, è trasversale, non ha censo. Educare figli maschi risulta un’esperienza da “maneggiare con cura”… Da economista: il problema investe lo stesso modello di sviluppo, le variabili di genere non esistono e la teoria economica guarda solo al “prodotto” con modalità astratte, che non vedono le differenze degli individui, delle loro vite e delle loro culture, identità sessuali, religiose… A questa discussione partecipano ancora troppo pochi uomini. (“Mio figlio dopo una lezione a scuola in cui si è parlato di violenza contro le donne, ha detto: ce l’hanno tutti con noi!”). Bisogna allargare il confronto ai maschi.
–Gabriella Bonacchi – (qui l‘intervento integrale)Nelle dinamiche attuali della violenza ricompare la figura del “perdente radicale” analizzato da Enzensberger (2007 , Einaudi). Una figura sociale che non si riconosceva dall’800, prima dell’ascesa del movimento operaio. Quanto al femminismo non bisogna coccolarsi o disperarsi nella dimensione vittimista. Anzi la decostruzione della figura della donna-vittima è stato l’impegno del femminismo del ‘900. Oggi la riflessione critica investe (vedi recente dibattito a Roma con Roudinesco e Fraire sulla gestazione per altri) l’intero impianto simbolico della riproduzione: anche la psicanalisi ha agito finora prevalentemente sulla coppia eterosessuale.
– Vincenzo Vita – (qui l’intervento integrale) L’Associazione per il rinnovamento della sinistra e il Centro per la riforma dello stato hanno in programma per maggio un nuovo incontro seminariale sul rapporto tra violenza e potere. Un nodo in cui la sessualità maschile rappresenta un ganglio vitale, un punto chiave. E ciò nel contesto di una divaricazione sempre più netta tra potere e conoscenza da un lato e politica con un peso sempre più marginale dall’altro. Il potere si concentra nei luoghi della finanza e della gestione dei dati e delle reti con meccanismi oscuri, che però determinano non solo l’organizzazione del consenso elettorale ma anche la mentalità e la diffusione di luoghi comuni. Quanto pesa la mediatizzazione della violenza e il racconto che se ne fa? Anche con questi meccanismi la violenza maschile appare una morfologia del potere.
– Oria Gargano – (qui l’intervento integrale) Nel lavoro contro la violenza di Be Free anni di rapporti con donne non sciocche sposate con uomini chiaramente orribili. Anche noi siamo dentro un sistema. Chi ha ucciso veramente Pamela? Mi sono sorpresa a vivere un atteggiamento molto giudicante sulla mamma, che ha subito postato su fb il proprio “dispiacere” per la scomparsa della figlia… Si ha la sensazione di vivere in una società perversa, malata, nella quale – il film “Sono tornato..” – ricompare il fantasma di Mussolini che afferma di sostenere “quello che dice la gente”. Il potere maschile persiste, ma di fronte al delitto di Milano bisogna forse rispondere augurandosi la carneficina di tutti i tranvieri? Sono in gioco spostamenti anche della nostra personalità quando si scatena un odio sociale contro i migranti e contro le donne. Ma non dobbiamo restare schiacciate tra femminismo e antirazzismo.
– Stefano Ciccone – (qui l’intervento integrale) Il testo delle famministe del Mercoledì ci aiuta a un fare passo avanti sulla violenza. Oltre la rappresentazione delle donne come vittime, cosa che poi “legittima” una “tutela” maschile che giunge a armare la mano di chi spara a Macerata. Bisogna riconoscere la radicalità e la complessità dei conflitti all’origine della violenza, così come dovrebbe avvenire nelle discussioni su questioni altrettanto complesse come la Gpa e la prostituzione. All’immagine della donna vittima si accompagna quella dell’uomo “in crisi”, che a sua volta alimenta forme di vittimismo maschile. Torna quindi una nostalgia dell’ordine simbolico perduto. Il punto sarebbe invece per gli uomini cogliere le opportunità per sé in questa rottura. L’ordine patriarcale non rappresenta nemmeno me. La sua crisi apre una interrogazione di senso sulla nostra sessualità e il rapporto con il nostro corpo, vissuto per lo più come arma, performance, estraneità, potere fallico. Non servono però richiami al volontarismo nè accontentarsi dell’assunzione di colpa.
– Ida Dominijanni – Sensazioni di agitazione e impotenza di fronte a questa specie di iperrealtà: un reale che non ha accesso al simbolico. Ciò produce anche un blocco nella scrittura, un pessimo segnale… A Macerata si ripete qualcosa già visto fin dalla guerra di Troia, con l’inquietante dissezione di quel corpo… Non so che c’entrino i big-data… Vorrei stringere il campo di osservazione con una macchina fotografica, lavorare sul primo piano. Sul rapporto potere/impotenza è stato detto forse tutto. Ma siamo testimoni del sommarsi di frustrazioni e rancori che mi ricordano il clima di guerra imminente percepito a metà degli anni ’80 in Jugoslavia. E’ giusto il richiamo di Lia contro schemi autovittimizzanti. E bisogna stare attente a estendere il significato di violenza come sinonimo di troppe cose. Attenzione al linguaggio delle vittime, tanto più che è vero che i maschi si considerano molto spesso i veri perdenti. Non sono poi d’accordo che prendersi cura “è già politica”, mi sembra ruolizzante. Ho bisogno che nel mio mondo femminile sia accettata la mia aggressività e la vogllia di distruzione. Prima si distrugge. Serve spazio per la forza e il suo uso (il testo di Muraro, Dio è violent, che mette a tema la forza della parola femminile). C’è poi il tema dei media, con parole maschili che ignorano sempre il punto, e il nostro discorso sempre fuori dal mainstream. Giova la riedizione di SCUM! E no a un 8 marzo con l’ennesima manifestazione contro la violenza.
– Grazia Zuffa – (qui l’intervento integrale) Analizzare il rapporto vittima-carnefice, e il nesso tra violenza, molestia e seduzione. Nel momento in cui un potere consolidato traballa.
– Clelia Mori – (qui l’intervento integrale) L’idea che uomini si mobilitino per proteggermi mi irrita. L’antifascismo è giusto ma non do delega a nessun uomo. Un certo modo di manifestare mi cancella. Mi difendo io! In realtà certe iniziative hanno altri significati e obiettivi, non lavorano per me.
– Francesca Izzo – (qui l’intervento integrale) Estendere troppo il significato della violenza rischia di far perdere una visione più approfondita dei rapporti tra uomini e donne. C’è compresenza, non alternativa tra forza e debolezza. Se si concentra lo scenario politico tutto su Macerata e Milano si cancella la forza straordinaria del MeToo a livello mondiale: una svolta. Ora va visto che cosa accade in tutti i luoghi di lavoro, che cos’è il nesso tra sessualità e potere. Un mondo, patriarcale e anche occidentale, si disfa, produce rancori. Quanto alla cura: è un senso di responsabilità che ci viene addosso, questa dissoluzione è anche opera nostra. Farsi carico degli effetti negativi. E’ la politica.
– Bianca Pomeranzi – (qui l’intervento integrale) D’accordo con Izzo. Le manifestazioni vanno certo fatte, ma c’è il rischio che si traducano in una danza un po’ squallida. Il nostro documento indica invece un lavoro lungo, faticoso, che vede nella violenza un segno della trasformazione del mondo. La cura per noi non è lo stereotipo materno, è il rovesciamento di ciò che è stata a fondamento del patriarcato, e di un welfare “curato” male, anche con la guerra. Ci sono analisi secondo le quali a livello mondiale la violenza sta diminuendo… la nostra è una interpretazione diversa.
– Gaia Leiss – (qui l’intervento integrale) Mi allineo al forte impatto emotivo prodotto dai fatti di Macerata, e anche da scenari più ampi. Sono nata negli anni 80 da un madre femminista e un padre che “ci prova”. Non ho mai avuto il sentimento di un mio svantaggio, ho avuto un avvicinamento non scontato al femminismo, senza violenza e rabbia verso gli uomini (né eventi eclatanti di violenza subita). Ma una reazione violenta di rabbia e indignazione l’ho provata quando ho letto dell’uomo che ha prostituito Pamela. E nelle relazioni con uomini, più personali e meno politiche, uno scambio su questo spesso è molto difficile: tu sei quella che esageri, il mondo è già a un buon punto! Mi monta rabbia mai così forte se mi sento obbligata a rivendicare l’ovvio (Carla Lonzi). Anch’io, come Ida, ho bisogno di misurarmi con la forza, anche oltre la supposta inferiorità fisica dei nostri corpi. E nel trovare il limite tra forza e violenza non ci sono posizioni pacificanti. Così come pacificarsi è difficile nelle dinamiche di potere nelle nostre relazioni. Anche per questo l’agire politico è così problematico.
– Bia Sarasini – Bisogna trovare parole chiare sugli atti violenti di cui siamo testimoni e sui casi – per esempio su giornali della destra – di complicità maschile intollerabile. Sull’azione dello sparatore di Macerata troppi silenzi e poche parole chiare. Per quanto in un linguaggio istituzionale e un po’ retorico mi sono ritrovata nelle parole di condanna della vicepresidente della Commissione europea. Quanto alle pulsioni che ci attraversano, non sprofondo nel disagio: negli ultimi due anni è cresciuto un conflitto acuto, con un nuovo protagonismo femminile a livello internazionale diverso dal passato. Da MeToo agli scioperi dell’8 marzo, fino alla stessa presenza di Non una di meno alla manifestazione di Macerata. C’è anche il protagonismo delle guerriere curde, che ci sollecita a una riflessione più approfondita sui modi di partecipare alla guerra e sul ripensamento della rapporto tra forza e violenza. Agire per prendersi cura significa aprire un conflitto, a partire dal corpo delle donne.
– Carlotta Cossutta – Mi sono ritrovata nelle parole di Ida Dominijanni sul conflitto e la forza. Il movimento MeToo genera paura tra gli uomini, e certo non rende più facile il dialogo. Una presa di parola che non apre alla conciliazione. Ma dico che forse non abbiamo ancora fatto abbastanza paura agli uomini! E si deve stare in guardia sulla capacità del patriarcato di sussumere e rendere compatibili con l’ordine attuale del mondo la nostra spinta. Gli uomini che vogliono esserci alleati devono fare scelte scomode, non starci a fianco con condiscendenza. Non una di meno ha partecipato con un testo importante alla manifestazione a Genova lo scorso 3 aprile, con un uso politico della nostra rabbia e delle emozioni. Si tratta di reagire anche a tante narrazioni della violenza, dei femminicidi, della tentata strage di Macerata, in cui sembrano perfino prevalere le “buone ragioni” di chi vuole “punire” i migranti che fanno disordine o che trova naturale estorcere un rapporto sessuale a pagamento da una ragazza che sta male. Anch’io sono nata negli anni ’80, vivendo una dimensione impolitica di fronte a condizioni materiali difficili. Le donne sono state anche in questi anni un soggetto imprevisto. Ma continua una rimozione del lavoro di cura di cui si fanno carico, e un racconto della loro soggettività che la riporta sistematicamente nell’immaginario mainstream.
–Alessandra Bocchetti – Violenza è ciò che caratterizza la sessualità maschile. Sono d’accordo con Ida che ci parla di forza e di distruzione. Ma se solo ci addoloriamo della violenza rischiamo di non vedere la rivoluzione prodotta dal movimento femminile. Abbiamo scardinato un sistema. E se il patriarcato ne è morto non la passeremo liscia… Abbiamo distrutto archetipi, possiamo dire: sarai padre se e quando vorrò io. Una forza dell’azione e della teoria femminista, per esempio sul rapporto autorità/potere. E abbiamo anche reso migliore questo paese: il divorzio, l’aborto, le battaglie che hanno impedito compromessi e stravolgimenti della legge. La Carta delle donne del Pci… C’è anche un fondamento biologico dell’aggressività maschile: i figli maschi devono essere salvaguardati da se stessi. E’ chiaro oggi quanto gli uomini siano inadatti al governo, eppure hanno fatto loro “la storia”. La rottura è stata una necessità. Che futuro ci aspetta? Penso che il rapporto tra donne e uomini vedrà ancora due mondi diversi, che si inventeranno punti di scambio, di incontro, ma a tutt’oggi separati… C’è poi lo scandalo delle donne nella politica e nelle istituzioni, incapaci di un gesto, di una alleanza, di una battaglia vincente sulla rappresentanza… Eppure avevo creduto alle donne nei partiti…
– Alberto Leiss – Il femminismo, fino alla recente ondata globale del MeToo è una rivoluzione della presa di parola. Michel De Certeau lo aveva detto del ’68: una rivoluzione non per la presa della Bastiglia ma per la presa della parola. Purtroppo molti maschi non sono stati d’accordo con lui. Forse anche per questo il momento – non so se lo sia per le donne – non mi pare buono per gli uomini. Siamo tutti “perdenti radicali”? In un certo senso sì. Io però continuo a incontrare uomini, anche giovani, che desiderano mettersi in discussione per migliorare le proprie vite: perdere certe eredità del patriarcato può essere un bene anche per noi.
Questa comunque mi sembra la scommessa. Dobbiamo prendere più coraggiosamente la parola sulla nostra sessualità e il nesso che la lega alla violenza. Senza ridurla a questa, riscoprendo anche il piacere della relazione. Ma per produrre cambiamento credo che si debba cercare lo scambio, in una ricerca comune tra uomini e donne, tra persone con diversi desideri e inclinazioni sessuali. Può darsi che abbia ragione Alessandra Bocchetti – e altre con lei – non è ancora il momento, c’è guerra tra i sessi ecc. Si cita e si ripubblica Valerie Solanas: un testo che paradossalmente mi era assai piaciuto. Ma allora si segua la sua strada: i maschi devono mettersi da parte, il governo del mondo passi alle donne… Credo che non sia realistico. E credo che sarebbe importante cominciare da qualche parte uno scambio, un lavoro personale e politico misto non episodico. Bisogna vederne bene metodi, assetti, linguaggi. E’ certamente difficile. La proposta di Letizia di proseguire in altri incontri questa ricerca di senso sulla violenza – che è fondamentalmente di matrice maschile – vorrei che venisse accolta.
– Anna Maria Bardellotto – ( qui l’intervento integrale) Le donne hanno sempre avuto forza e potenza, da decenni, nella scuola, ma le hanno anche mal esercitate, a volte rafforzando gli stessi stereotipi patriarcali. Qui ho sentito parlare di Università. E certo anche a questo livello bisogna saper incontrare uomini e donne giovani. Ma rischia di essere già troppo tardi per determinare cambiamenti nella cultura che poi produce la violenza. Bisogna lavorare sin dai primi anni della scuola primaria e secondaria, ed è qui che va esercitata la forza e la potenza femminile e femminista.
– Paola Mastrangeli – (qui l’intervento integrale) Ida con la sua rabbia non mi ha lasciato sola… e non c’è nemmeno una Solanas a sparare… Però il movimento Non una di meno combatte la violenza maschile articolandosi sul territorio. L’osservazione va portata sulle figure del femminicida e del cliente: dal giornalismo ci aspetteremmo un racconto approfondito delle vite degli assassini. Siamo in una guerra dichiarata dagli uomini alle donne, e il femminismo è stata la rivoluzione più grande, che ha cambiato un mondo dell’uno in un mondo del due. Dovremmo affermare il diritto della madre di eliminare il marito che stupra e assassina la figlia… Mia nonna diceva: io ti fo e io ti disfo… Abbiamo ancora paura di dimostrare forza e rabbia. Ma la mia rabbia è le mie ali!
– Fulvia Bandoli – (qui l’intervento integrale) … il patriarcato è morto, ma non c’è ancora un nuovo ordine, e resta una parte che va distrutta. Ma dobbiamo capire dove siamo: quando il ministro Minniti dice di aver “intravisto la figura di Traini” e che per questo ha cercato di fermare gli sbarchi, sbaglia: avrebbe dovuto condannare il razzismo e vedere la radice maschile della violenza a Macerata, tanto è vero che pochi giorni dopo è avvenuta a Milano per mano di un tranviere italiano. Ida Dominijanni non è d’accordo che la cura sia già politica, ma noi parliamo dell’ambizione di riordinare il mondo: faccio l’esempio di come le donne reagirono all’incidente di Chernobyl. Nello scacco della politica – compresa la sinistra e il Pci che puntava ancora sul nucleare – fu il femminismo a sollevare la questione della coscienza del limite. Quanto agli uomini, fatte salve le relazioni personali, penso che si debba alzare la conflittualità. Vediamo comportamenti non all’altezza di dirigere il paese.
– Elettra Deiana – (qui l’intervento integrale) Simbolicamente il patriarcato è morto ma nelle forme sociali il ruolo maschile resta come elemento costitutivo. Oggi emerge nel discorso pubblico e nell’agire sociale il nesso tra sessismo e razzismo, di cui gli episodi di Macerata sono caso estremo e soprattutto significativo di una violenza che si diffonde. La cura e il suo rovesciamento è un terreno di ricerca che vede sempre più donne impegnate nella elaborazione di un nuovo modo di pensare e di agire. Capace di rispondere alla degenerazioni che vediamo. Cito non solo il lavoro del nostro Gruppo del Mercoledì, ma l’ultimo libro della Klein, e la connessione di questa ricerca con la riflessione di Judith Butler sulla vulnerabilità e interdipendenza umana.