Pubblichiamo l’intervento di Fulvia Bandoli all’incontro “Sulla violenza.Ancora”, rivisto dall’autrice.
Condivido la relazione di Letizia Paolozzi, che fornisce una cornice piu’ larga,se possibile,del testo gia’ denso che e’ alla base dell’incontro di oggi. Prendo lo spunto iniziale da una riflessione che Luisa Muraro ha scritto ieri sul sito della Libreria delle Donne e comincio accettando un suo consiglio: tentiamo prima di farci un’idea di quello che sta capitando, sapendo che nel femminismo ci sono tante e diverse pratiche e pensieri e che possiamo anche confliggere ma che l’importante e’ saperlo fare bene.
Il patriarcato e’ morto ci ripetiamo spesso ed e’ sicuramente vero ma gramscianamente parlando mi verrebbe da dire che siamo ancora nella fase nella quale il vecchio ordine e’ caduto…ma un nuovo ordine fatica ancora a consolidarsi. Accanto al molto di nuovo che il femminismo crea e porta al mondo nel rapporto tra i sessi, in quelli sociali,con la natura e la liberta’,vedo oggi crescere disordine, polverizzazione, quando non riemergono addirittura nuove pulsioni autoritarie. A me sembra che oggi questo stia capitando.
Nella settimana che abbiamo alle spalle, nella quale molti e diversi uomini hanno fornito pessime e orrende prove di se stessi, mi sono chiesta ad un certo punto cosa mi sarei aspettata io, ad esempio, dal Ministro degli interni del mio Paese. Quando l’ho sentito affermare pubblicamente :”ho intravisto all’orizzonte l’eventualita’ di una reazione alla Traini e per questo ho fermato gli sbarchi..” frase che stabilisce un collegamento sbagliato tra immigrazione e crescita della violenza razzista e che nega in radice il vero tema che sta alla base di ogni femminicidio e che riguarda il rapporto tra i sessi.. ecco io avrei voluto sentire una frase del tipo:”l’immigrazione non c’entra,la ragazza poteva ucciderla anche un uomo come me.. e non c’e’ alcuna vendetta da compiere,si tratta solo di razzismo”. Infatti a dimostrazione che questa e’ la realta’ il giorno dopo, a Milano, un tranviere italiano ha ucciso, accoltellandola, un’altra ragazza, perchè si era rifiutata di avere un rapporto con lui.
Ecco, penso che un elemento costitutivo della forza delle donne,che ci toglie per sempre dal vittimismo, sia il coraggio di dire tutte le parole che gli uomini (salvo pochissimi) non riescono a pronunciare e soprattutto a dirsi tra loro e riguardo loro stessi, la loro sessualita’ e il loro rapporto, sempre piu’malato, con il potere.
Mi interessa anche un altro dato… quella che con una parola forse un po’ troppo comunista si chiamava una volta “coesione sociale” oggi mi pare logorata e messa duramente alla prova. Difficile sentirsi parte di qualcosa insieme ad altri/e ,o di un territorio, o di una classe sociale o di un partito, lo dico a partire da me che ho molto amato la politica e che oggi soffro un totale spaesamento. Sentirsi bene quasi esclusivamente nei luoghi della relazione femminile e trovare sedi di confronto solo nei luoghi del femminismo… sono segnali precisi che mi indicano dove si stiano ricreando momenti di coesione, solidarieta’ o relazione o chiamatela come piu’ vi piace.
Noi abbiamo scritto che prendersi cura e’ gia’ politica. Oggi Ida Dominijanni ci ha invece obiettato che prendersi cura secondo lei non basta. Credo andrebbe chiarito che quello del quale abbiamo parlato noi e’ un “prendersi cura” che arrivi fino a “riordinare il mondo”. Ho cercato un esempio emblematico che potesse spiegare cosa intendo dire e ne ho trovato uno in particolare. Quando scoppio’ la centrale nucleare di Chernobyl e l’aria divento’ pericolosa e il cibo insicuro, di fronte alla incapacità e allo scacco di governi e di partiti politici (il Pci aveva appena finito un congresso nel quale aveva ribadito l’uso dell’arretratissimo nucleare italiano…) furono le donne femministe italiane e le scienziate e anche le donne comuniste a trovare un filo nuovo di ragionamento e un ordine diverso. Partendo dal concetto di coscienza del limite tentarono, e secondo me riuscirono, a leggere quel passaggio e a riordinare il mondo.