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Cosa ci insegna suonare e ascoltare gli strumenti d’epoca

29 Aprile 2020
di Rebecca Raimondi

il pianoforte appartenuto a Beethoven

Pubblico con il consenso del’autrice la gentile e interessante lettera che la violinista Rebecca Raimondi mi ha indirizzato a proposito del mio recente articolo Come risuona il passato. La registrazione del concerto di Rebecca Raimondi e di Alessandro Viale si può riascoltare e vedere qui (A.L.)

Caro Alberto,

grazie per tuo articolo che apprezzo non solo perché ci hai citato, ma anche perché dà vita a una interessante riflessione.
Credo di comprendere a pieno il punto di vista (o di udito, direi!) di un ascoltatore dei giorni nostri, abituato alle esecuzioni di questo repertorio su strumenti moderni (che poi in realtà non lo sono nemmeno così tanto, sono forse piuttosto un retaggio della cultura della metà del ‘900…) perché anche io fino a un paio d’anni fa facevo lo stesso.
Venendo al presente: per la mia esperienza, e quella di qualche amico che come me si avventura in questo percorso imprevedibile, già soltanto gli strumenti stessi “svelano” come suonare – la fisica e la fisicità dello strumento impone tecniche diverse, che danno risultati diversi – e i brani suonano improvvisamente meglio, più “giusti”. Dopo, forse, si spiegherà meglio cosa intendo per “giusto”.
Con questi presupposti, l’attenzione dell’ascoltatore dovrebbe spostarsi su parametri che purtroppo la quantità e qualità di suono, che definirei in questa circostanza ingombrante, di alcuni strumenti moderni, soffoca. Ma come può farlo? Ecco, qui entra in gioco l’abitudine, la prassi, che non è solo quella esecutiva, ma anche quella uditiva. Il processo a cui noi (io e Alessandro, ma in generale chi prova a intraprendere questa strada della prassi esecutiva) ci sottoponiamo, è proprio quello di “depurare” le nostre orecchie da tutte le sonorità successive al periodo che studiamo.
Per questo si parte, nello studio della filologia, dal Rinascimento se si vuole eseguire il Barocco (nello studio della teoria ovviamente si incomincia dalle origini). Ed è per questo che, venendo dal Barocco, a noi il Classicismo suona adesso tutto nuovo (sicuramente ci perdiamo ancora molto perché siamo solo all’inizio di questo processo). Non solo! Ma – e questo è un lavoro molto arduo che sto iniziando proprio ora ad approfondire – comincio davvero a percepire gli elementi di originalità di Beethoven, anche rispetto a Ries, che per quanto adori e per quanto in quella Sonata suoni a volte come se fosse Schubert, divenendo per alcuni aspetti anche più avveniristico di Beethoven, non diverrà il modello di tutti i compositori successivi. Non c’è giudizio personale, e anzi, preferisco anche Ries a Beethoven in alcuni passaggi, ma è un tentativo di riconoscere cosa attribuire a chi. Tra l’altro, ci sono autori (tipo Vogler) poco o per nulla eseguiti che trovo geniali tanto quanto o più di Beethoven. Ci è arrivata una tradizione dalla storia della musica occidentale che rispetto, ma con cui non concordo sempre a pieno.
Quello che io ora devo fare – e che per quanto riguarda il periodo classico della musica, in pochissimi hanno già fatto – è capire quale fosse il repertorio di tutti i giorni, non solo per poter inquadrare meglio quei lavori che sono unici, innovativi, e che cambieranno poi la storia della musica (come quelli di Beethoven), per poter riconoscere, proprio in questi lavori, gli elementi di “normalità” (e distinguerli da quelli di genialità), ma anche per poter conoscere e assorbire a pieno il linguaggio dell’epoca.
Un’esecuzione di questo genere metterà inevitabilmente in risalto questi elementi, che saranno udibili, anche se in diversi gradi e forme, a qualsiasi ascoltatore (lo credo, lo immagino, e lo spero). Questo dovrebbe già sopperire al problema della prospettiva, quando non tutti possono o vogliono “sottoporsi a un processo di purificazione uditiva” (è difatti impossibile, e lo trovo davvero non necessario, specie da uditori passivi).
Mi chiedevo infatti se tutto ciò abbia senso solo per chi fa filologia, o se per chiunque. Il tuo articolo fornisce per me in realtà già una risposta, e a ciò aggiungo che sicuramente un’esecuzione del genere, che vuole suonare nella maniera musicalmente ed espressivamente più autentica possibile, avrà fatto ascoltare in un altro modo e sentire, riscoprire, elementi che devono poter vibrare e che in altri contesti non possono o non si vogliono.
Non parlo dell’esecuzione mia e di Alessandro, che è ancora allo stato embrionale, non mi riferisco nemmeno solo al repertorio classico, ma proprio in generale.
È difficile spiegarsi per iscritto, ma copio qui un link che, se non lo conosci già, può dare un’idea (anche se solo accennata) di come sia fondamentale, per capire a fondo il significato di un’epoca, conoscerne il linguaggio. https://youtu.be/qFPW9ENtNKA
Forse è un pò come una ricerca della verità, anche se, ben inteso, è pur sempre una verità personale (nell’epoca barocca, classica e romantica ogni musicista aveva il proprio stile, cosa che trovo davvero eccitante!), certamente non univoca, e inevitabilmente, per certi versi, o forse molti, lontana da quella del tempo. Ma è pur sempre un obiettivo che trovo più che legittimo perché si fonda sull’onestà, immaginazione, analisi, reinterpretazione, e creatività.
Questo è un riassunto del mio modesto – e incompleto – pensiero, che volevo condividere, proprio perché, e te ne ringrazio ancora, mi hai dato l’opportunità per riflettere, occasione che trovo sempre di rara importanza perché ci indebolisce e rafforza allo stesso momento, quindi ci fa crescere.

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