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Microcritiche / Il “giallo” è tra i sentimenti della coppia

1 Novembre 2023
di Ghisi Grütter

ANATOMIA DI UNA CADUTA – Film di Justine Triet. Con Sandra Hüller, Arthur Harari, Samuel Theis, Swann Arlaud, Antoine Reinartz, Milo Machado Graner, Jehnny Beth, Anne Rotger, Francia 2023. Sceneggiatura di Justine Triet e Arthur Harari. Fotografia di Simon Beaufils.

In questo bel film – vincitore della Palma d’oro 2023 – che è contemporaneamente intimista, giallo, e film processuale, si sente che c’è la mano di una donna. I dialoghi sono interessanti e molto intensi, forse bisognerebbe leggere la sceneggiatura per dare più tempo alla riflessione.
Siamo nella storica regione del Rodano-Alpi, nel sud-est della Francia, vicino Grenoble, dove Samuel Maleski (interpretato da Samuel Theis) era cresciuto e dove è voluto tornare dopo aver vissuto a Londra. Lì la vita era piuttosto cara ed erano particolarmente costosi i farmaci e le cure mediche.
Sandra Voyter, (la bravissima Sandra Hüller) sua moglie, è tedesca, una scrittrice di successo che viene accusata dell’assassinio del marito, sospettata di averlo colpito e buttato giù dal balcone dello chalet. La caduta (omicidio o suicidio che sia) appare subito all’inizio e tutto il film ripercorre nel dibattimento processuale il rapporto articolato e sofferto di questa coppia di due intellettuali. La regista afferma che l’immagine della caduta, le fu instillata nella mente dalla famosa sigla di Mad Men con la sagoma che cade.
Samuel e Sandra tra loro e in famiglia, parlano in inglese: una lingua neutra perché lui è francese e lei tedesca. A complicare il loro rapporto è stato un incidente di pochi anni prima dove il figlio Daniel (interpretato da Milo Machado Graner) ha perso la vista, dopo a ver passato un intero anno in ospedale.
Da quel giorno il rapporto di coppia si è lacerato: lui è in preda ai sensi di colpi e si sente (vero o falso) accusato da lei. Va in terapia, prende medicine, ha varie iniziative che non riesce a portare a termine, specialmente quella di scrivere un romanzo. Depresso, sembrerebbe aver già tentato un suicidio mischiando alcool e aspirine. Lei cerca di incoraggiarlo a scrivere, a continuare un romanzo di cui aveva elaborato solo le prime 20 pagine; contemporaneamente ne riprende qualche idea che, portata avanti arricchita e riscritta da lei, diventa un romanzo di successo.
Samuel, che ha ovviamente tempi più lunghi di gestazione artistica, si sente defraudato e in un litigio furibondo – registrato di nascosto – l’accusa non solo di plagio, ma anche di imporre le sue scelte su lui e sul loro figlio fregandosene dei loro desideri, pur di andare avanti nei sui successi. Nel litigio arrivano anche a rinfacciarsi reciprocamente quanto tempo ognuno dedica all’altro e, in particolare, al figlio ipovedente.
Il film mostra l’ambiguità del reale; nella vita, nei romanzi, nei processi, una storia in fondo è solo come la si racconta… tutto può essere, tutti hanno ragione, specialmente quando si parla dei processi interiori di una coppia. Ed ecco che per un paio di ore siamo trascinati nella sfera più intima e privata dei protagonisti che al processo viene messa a nudo con durezza dagli avvocati (Antoine Reinartz il Procuratore e Swann Arlaud il difensore, un vecchio amico della Voyter), da psichiatri e in vari testi. Ultimo e decisivo sarà il piccolo Daniel in un secondo interrogatorio-monologo che ha voluto sostenere di sua sponte, forse eccessivamente di buon senso per la sua età.
Il film è sfaccettato e pieno di colpi di scena e alcuni critici lo hanno paragonato a un thriller hitchcockiano, di cui in qualche misura porta con sé la precisione di regia e l’eleganza formale.

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