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In una parola / L’”altra voce” resistente della musica

1 Novembre 2023
di Alberto Leiss

Rosy Wertheim

Pubblicato sul manifesto il 31 ottobre 2023

Il senso di impotenza e di orrore che ci attanaglia pensando a Israele e Gaza, all’Ucraina scomparsa dalle cronache (si parla ormai di centinaia di migliaia di soldati uccisi), e alle altre guerre dimenticate, rischia di bloccare cuore e cervello. Ci sembra vuota ogni parola, inutili i gesti.
Sabato sera mi sono quasi sentito in colpa andando con amiche e amici a un concerto alla scuola popolare di Testaccio a Roma. Mi venivano in mente i versi di Quasimodo: E come potevamo noi cantare…
Mi sono subito pentito di quella reazione in fondo infantile. I primi pezzi ascoltati erano composizioni di Rosy Wertheim, una musicista ebrea, nata alla fine dell’800 a Amsterdam, che aveva studiato a Parigi, Vienna e New York, e che nel 1940 era tornata nella sua Olanda, per restarci anche sotto l’occupazione nazista.
Faceva parte di un gruppo della resistenza contro i tedeschi, e organizzava concerti clandestini, nei quali potevano essere eseguite musiche di altri compositori di origini ebraiche, ovviamente proibite. Dunque anche la musica può essere un forma di lotta per la libertà, contro la violenza di chi uccide per comandare.
La Wertheim con i suoi familiari riuscì a scampare alle persecuzioni naziste ma morì poco dopo la fine della guerra.
Orietta Caianiello al pianoforte e Andrea Salvi al flauto hanno eseguito tre sue composizioni, Corteo di marionette, Pastorale, Capriccio. Musiche che forzano l’armonia tradizionale mantenendo un rigore strutturale e una espressività lirica intensa.
Tutto il concerto era interamente dedicato a compositrici contemporanee, o quasi, (con il titolo Mme. Musica. L’altra voce), all’interno di un ciclo sulla musica classica curato da Stefano Cardi, e per la serata di sabato anche da Orietta Caianiello.
Dopo Wertheim è toccato a tre musiciste italiane: Alessandra Ravera (1977) della quale Luca Peverini ha eseguito due capricci per violoncello, da un instabile equilibrio a un intenso svanire; Ada Gentile (1947): Nazarena Recchia ha suonato sull’arpa Scaglie di mare, composizione ispirata alla poesia di Montale Meriggiare pallido e assorto, del cui testo è prevista la recitazione (Andrea Salvi) tra pause delle note; Maria Cristina De Santi, che era presente in sala: applausi al suo Interludio, ancora per l’arpa.
Poi un tuffo all’indietro nel clima dell’800 ancora romantico, con Ingeborg Bronsart, nata in Russia da genitori finlandesi nel 1840, pianista allieva di Liszt, e concertista ammirata. Ma quando il marito direttore d’orchestra divenne anche direttore del teatro reale di Hannover, le convenzioni dell’epoca non le consentirono più di suonare in pubblico. Anche da qui il suo rivolgersi di più alla composizione. E forse questo l’ha salvata dall’oblio, e consente a noi di ascoltare i suoi bellissimi pezzi per piano e violoncello, melodie raffinate e struggenti eseguite con grandi applausi (alla fine il Romanticismo vince sempre) da Caianiello e Peverini.
Al pieno ‘900 si è tornati con le francesi Thérèse Brenet (1935) e Edith Lejet (1941), premiate all’ambito Prix de Rome, delle quali ha suonato pezzi per chitarra Stefano Cardi.
Infine un nome relativamente più noto, Germaine Tailleferre (1892-1983), unica donna del francese “Gruppo dei Sei” (con Milhaud, Honegger, Poulenc, Auric e Durey), di cui ho ascoltato la Sonatina alla Scarlatti per arpa. Seguita da Hedwige Chrétien (1859-1944), Vision! Per flauto e pianoforte, e dall’americana Vivian Fine (1913-2000), bambina prodigio al piano e poi compositrice affermata: il suo Tango con il principe ranocchio, per flauto, violoncello e chitarra, sa muoverci al buon umore, nonostante “la vita e il suo travaglio”.

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