Pubblicato sul manifesto il 14 settembre 2021 –
Bisognerebbe sempre leggere con attenzione gli inserti economici dei quotidiani, quelli che noi del liceo classico (e magari con una laurea in lettere) spesso accantoniamo accennando una smorfia di noia.
Ieri ho dato un’occhiata all’inserto economico del Corriere avendo conferma di una notizia già notata in questi mesi altrove. Il risparmio italiano non è mai stato così alto. Spesso a sinistra – o almeno in una sua parte – si insiste su quanto grave sia la povertà che aumenta anche qui da noi. Giustissimo. Anzi proprio a sinistra bisognerebbe essere molto più attenti a chi è povero o poco ci manca. Ma a questa attenzione – per farsi venire delle buone idee su come realizzare rimedi alle ingiustizie – bisognerebbe aggiungere una altrettanto efficace capacità di analisi sulla davvero notevole ricchezza, anche diffusa, del nostro paese.
Una analisi del gruppo Bnp Paribas conferma che con i primi mesi del 2021 la ricchezza dei risparmiatori italiani ha superato i 4.700 miliardi di euro. Il valore “più alto di sempre”. Viene subito da fare un raffronto con l’indebitamento, anch’esso enorme, dello Stato italiano, che negli ultimi mesi ha raggiunto un altro record arrivando però a 2.700 miliardi.
Resta la bella differenza di 2000 miliardi “in attivo” nel corpo sociale (e questo è uno degli argomenti di chi non si strappa i capelli per l’indebitamento pubblico…)
A questo enorme accumulo di denaro nei conti bancari, nei fondi di investimento, nelle azioni e obbligazioni ecc. ha certamente contribuito il calo dei consumi fino a un certo punto forzato dalle conseguenze della pandemia. Così come la paura e l’incertezza nello spendere e nell’investire quando non si sa come va a finire.
Ma ora che forse le cose vanno un po’ meglio il mondo finanziario si attiva per raccogliere e guadagnare, orientando gli investimenti di chi se lo potrebbe permettere. Qui la filosofia prevalente – se non erro – è quella del promettere i rendimenti migliori e la affidabilità di chi incassa.
Domanda ingenua: ma governo, parlamento, e sistema economico, non potrebbero fare qualcosa di più, e di più comprensibile, per orientare (e remunerare) il risparmio verso attività che migliorino la qualità della vita di tutti? La pandemia, per esempio, ha squadernato una serie di esigenze sociali colpevolmente trascurate: nella sanità, nei servizi rivolti agli anziani, le iniziative per l’occupazione femminile, giovanile, e soprattutto per rendere più armonico il rapporto tra lavoro e attività di cura e riproduzione della vita.
Qui si possono fare solo spese in deficit, attingendo ai fondi europei ecc.?
Eppure viviamo in un mondo nel quale grazie alle nuove tecnologie digitali una diversa “volontà politica” – come si diceva una volta – potrebbe capovolgere le attuali tendenze al controllo e all’uso dei dati personali a fini prevalentemente consumistici (quando non di molto peggio) in nuovi modelli di programmazione economica. Modelli probabilmente in grado di superare i terribili difetti burocratici e dirigistici dei sistemi del socialismo realizzato, così come di reagire all’autoritarismo digitale degli stati non democratici e al dominio delle multinazionali private.
La parola risparmio e il verbo risparmiare derivano da radici latine – parcere – o anche anglosassoni, come l’inglese: to spare, risparmiare. Anche lo sparagnino risparmia, ma – senza arrivare al peccato dell’avarizia – lo fa con, diciamo, una eccessiva ristrettezza mentale. Risparmiare (e investire) con ampiezza di vedute e interesse per il bene degli altri, non solo il proprio. Questo cerca di dire la “finanza etica”. Ma direi che siamo ancora molto, molto indietro…