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Il disegno che anima la città

23 Novembre 2015

imgresE’ stato presentato nei giorni scorsi all’Università Roma Tre il libro di Ghisi Grutter Architettura e rappresentazione, alcune questioni. Dopo i saluti del Direttore del Dipartimento Prof. Elisabetta Pallottino, la Prof. Ghisi Grütter curatrice e coautrice del libro, ha sintetizzato le motivazioni che l’hanno portata a mettere insieme questi saggi. Due capitoli consistono nelle trascrizioni delle due lezioni/conferenze fatte l’anno scorso nel suo corso di Tecniche di Rappresentazione: il Prof. Franco Purini in una sorta di introduzione al corso ha elaborato un interessante “viaggio nel disegno” mentre il Prof. Vieri Quilici ha parlato dei disegni e dei progetti di Adalberto Libera nella sua esperienza romana e in particolare quelli elaborati per l’EUR. La Prof. Ghisi Grütter ha voluto inserire uno scritto sull’architettura a Roma nel secolo scorso in modo da dare una consapevolezza storica e un senso ai lavori che gli studenti di Architettura di Roma Tre fanno all’interno del tessuto urbano romano. Gli ultimi tre saggi sono legati dal concetto di comunicazione del progetto essendo le ricerche più recenti incentrate sui “disegni definitivi”, per approfondire gli aspetti della “presentazione” del progetto. Sempre di Grütter un saggio che tratta dei 3D artists, giovani abilissimi talvolta con un background architettonico o più spesso provenienti da studi fotografici. Saverio Silli e Michele Gattini sono due giovani architetti laureatisi entrambi all’Università Roma Tre, che lavorano con la Prof. Grütter da vari anni sia alla didattica sia alla ricerca, Gattini più attento agli aspetti bidimensionali, Silli a quelli tridimensionali.

Interviene il Prof. Francesco Cellini che dopo aver notato la grande varietà di tematiche inserite nel libro ne ha colto il fil rouge che le lega e che è il disegno nelle sue infinite declinazioni. Ha apprezzato sia il libro sia il lavoro che la Grütter porta avanti con la sua cura critica del dettaglio e delle composizioni (ad esempio le immagini di Marek Denko), notando anche il suo questo amore per le operazioni artistiche che vanno dall’Op al Pop. Si sofferma anche sul capitolo che tratta di produzioni artistiche delle immagini anche quelle digitali più “commerciali” e maggiormente dirette ad acquisire il consenso della committenza. Cellini ha parlato inoltre dell’importanza che ha avuto il disegno in particolare a Roma specialmente fino agli anni ’60 sia come insegnamento (4 corsi annuali nei primi due anni di corso di laurea in Architettura) sia nella pratica professionale. Ha sottolineato anche la “fisicità” del disegno e di come cambi il segno a seconda anche di caratteristiche fisiche: Franco Pierluisi era mancino, Alessandro Anselmi aveva una mano grande…la presbiopia ecc.. Il mezzo pure condiziona la rappresentazione, non a caso Franco Purini usa il rapidograph che quasi incide e con il quale si deve disegnare lentamente e perpendicolarmente altrimenti non scrive.
«La ‘mano’ è, infatti, quella parola che, riassumendo tecniche, segni e gestualità, serve per relegarle tutte insieme nello spazio segreto della personalità e della fisicità dell’autore (che cosa in fondo ci può essere di più strettamente individuale, caratteristico, corporeo ed irriproducibile?)…come il tratto del rapidograph di Franco Purini, minuto, breve, controllato, ossessivo, ripetitivo e chirurgicamente preciso convenga anche alla sua complessione massiccia, alla feroce energia trattenuta e quasi rallentata dei suoi movimenti; ed ancora come i fulminei tratteggi di Franco Pierluisi (matita, bulino), lanciati in anomale diagonali attraverso lo spazio di tutto il disegno, convenissero con la sua corporea irruenza e con lo stesso fatto banale che era mancino; o, infine, vorrei far notare come i segni di Sandro Anselmi abbiano negli anni perso in nettezza e precisione e guadagnato in robustezza e sintesi, convenendo col fatto altrettanto banale e naturale della sua progressiva presbiopia… Le campiture, i tratteggi e le ombre, che appunto costituiscono uno dei caratteri più distintivi dello stile (basta un centimetro quadrato di disegno per capire se sia di Purini o di Anselmi)».

Franco Purini ha parlato di varie cose; ha iniziato sostenuto l’importanza del disegno nel progetto relegato oggi a un ruolo puramente strumentale. Per Purini il disegno è un “giudizio” sul progetto, ha la forza di un manifesto, ne comunica gli intenti, i principi nella volontà di cambiare il reale. È l’Architettura come Arte.
Ha ripreso lo spunto di Francesco Cellini sull’architettura romana del secolo scorso per ribadire la grande cultura architettonica di questa città in contrapposizione alla mancanza di una scuola unitaria, come invece è esistita ad esempio al Politecnico di Milano dove c’è la scuola del Politecnico illuminista ed europea. Roma non ha avuto una scuola né con Giovannoni né con Piacentini, il primo più attento alla storia il secondo più aperto verso la modernità. Ci ha provato Saverio Muratori, un grande conoscitore del tessuto urbano, che però è rimasto all’interno di una cerchia ristretta di adepti. Ha parlato delle diatribe, dissidenze e competitività a Roma, narrando anche un aneddoto di una gara di disegno tra Libera e Ridolfi. Purini a poi aggiunto alcune considerazioni positive sul lavoro che la Grütter sta svolgendo andando a indagare i disegni di quegli anni ‘20 ‘30 e ‘40 fino alle palazzine, oggi rilanciate all’attenzione del grande pubblico. Ha asserito che tra i disegni a carboncino di Alessandro Limongelli e quelli della Metropolis of Tomorrow di Hugh Ferriss non saprebbe decidere quali siano i più importanti: se si va a New York ci si accorge che tutti gli edifici hanno dei rimandi alla storia, gargoyles sui grattacieli quasi fossero i sogni di Brasini.

L’intervento composito di Quilici ha trattato del “bello” e della dialettica del segno versus l’immagine; ha rimarcato l’importanza dei disegni di Purini come tracciati, frammenti di tracce, fino al “capolavoro” dell’Eurosky. Ha aggiunto delle considerazioni sulla nascita dei quattro poli Universitari negli anni ’80 – gli studenti erano arrivati a 100.000 – in un periodo di corsa alla modernizzazione. Il ruolo che la scuola di Roma Tre, apertasi nel 1992, ha voluto avere è di insegnare la città all’interno della città. L’altro elemento della scuola di architettura di Roma Tre è stato quello di inserire elementi di “originalità” nell’insegnamento come ad esempio i workshop inventati assieme a Cellini sull’ideazione architettonica. La Grütter è stata chiamata apposta per questo ruolo “originale” che la rappresentazione/comunicazione deve svolgere, e ne apprezza il lavoro in tutti questi anni. Tutto ciò fa riflettere sulla mancanza di un corso di storia dell’arte nelle facoltà di Architettura, mentre ai licei c’è una materia che è proprio Disegno e Storia dell’Arte. Ha ricordato i temi scritti che venivano svolti sotto Ludovico Quaroni in particolare uno da lui elaborato sul Disegno di Architettura fin d’allora. Conclude con un apprezzamento sia nei confronti del libro sia del tipo di insegnamento portato avanti dalla Prof. Grütter.

Intervengono tra il pubblico: Cristiana Bedoni che ha ribadito l’importanza del disegno del suo “senso” e della sua costruzione facendo un paragone con gli scrittori e le loro “costruzioni delle frasi”; Laura Farroni ha sostenuto il digitale di cui oggi si apprezza ancora solo il valore meccanico e non quello espressivo, ricordando che dietro ci deve essere un pensiero rigoroso e ha concluso gli interventi Filippo Lapadula che, per sostenere l’importanza del disegno, ha raccontato tre aneddoti di altrettanti architetti famosi (Oscar Niemayer, Carlo Scarpa e Attilio Lapadula).

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