L’annuncio delle dimissioni del Papa – al di là di tanti anche interessanti ragionamenti di tipo teologico, e della curiosità per l’entità della crisi e degli scandali che probabilmente ne sono all’origine – ha destato indubbiamente un profondo moto di simpatia verso Ratzinger. Anche da parte di chi non ha mai approvato il suo ruolo e le sue posizioni. Mi ha colpito la reazione di un amico che ha un atteggiamento laico ipercritico contro la Chiesa e il Vaticano, e tanto più verso questo Papa. Ha letto il commento di Marina Terragni sulle “dimissioni del patriarcato”, ma non ha condiviso la sua affermazione critica comparsa in aggiunta su Facebook: “i padri non si dimettono”.
Perché? Se un “padre” capisce che non ce la fa a adempiere al suo compito è meglio che insista e produca danni sempre peggiori? Ma allora non va mai bene niente?
E’ un fatto che il gesto inaudito di Ratzinger è avvenuto in un contesto particolarmente denso di concomitanze, a proposito di tramonto del patriarcato. Negli stessi giorni in tutto il mondo le donne, e anche molti uomini, hanno ballato nelle piazze per reagire alla violenza maschile sulle donne. Un dramma quotidiano amplificato dalla tremenda vicenda di Pistorius che uccide la fidanzata nella sua villa piena di armi da fuoco. Gramellini, suo fan molto deluso, lo ha definito un “superometto”.
Abbiamo ascoltato al Festival di Sanremo un cantante che ha un successo globale, Antony and the Johnsons, suonare una bella canzone che è un risarcimento pubblico alla sorella, che da piccolo maltrattava ingiustamente. Finita la canzone Antony ha esposto una specie di manifesto politico-antropologico: noi maschi abbiamo costruito un mondo che va in pezzi (osservazione contenuta anche nella canzone che ha vinto il Festival…), ora è meglio fare un passo indietro e lasciar fare alle donne.
Questa volta è stata mia figlia a reagire polemicamente: troppo comodo! Avete fatto questo bel pasticcio e ora dobbiamo rimediare noi da sole?
(E lasciamo perdere il dramma patetico delle dimissioni di Oscar Giannino, sbugiardato anche dal Mago Zurlì e prontamente sostituito da una giovane avvocata ligure…)
Forse bisogna intendersi. Dimettersi potrebbe voler dire abbandonare un certo ruolo di potere, ma non alzare le spalle e le mani senza assumersi la responsabilità di costruire – insieme – un mondo diverso. E’ l’ipotesi – possono cambiare i desideri degli uomini? – sulla quale con gli amici di Maschileplurale stiamo proponendo di aprire un confronto, con uomini e donne. Se ne discuterà il 16 e 17 marzo a Roma, al centro sociale SCUP in via Nola 5, a San Giovanni, dalle 10 in poi.