Gli scenari cambiano molto in fretta ed è difficile prevedere, sul piano politico come su quello economico e sociale, che cosa ci riserva la ripresa autunnale. Cosicché quello che si poteva commentare a caldo dell’incontro di Siena del 9 e 10 luglio – a ridosso dalla vittoria dei “sì” nei referendum e sull’onda dei risultati delle elezioni amministrative in alcune grandi città italiane – oggi, in questo incerto agosto in cui scrivo parole che leggerete a settembre – andrebbe messo in prospettiva. L’iniziativa di “Se non ora quando?” (Snoq, per adottare l’acronimo che anche le organizzatrici hanno fatto proprio) è stata raccontata e variamente commentata su quotidiani, siti e blog. Resoconti “simpatizzanti” e “antipatizzanti”, a dimostrazione che comunque il dibattito è in corso. Il che, a mio avviso, è già un grande risultato. Perché dopo la grande manifestazione di piazza del 13 febbraio 2011, il passaggio era delicato: i movimenti, si sa, sono per loro natura effimeri, e lo sono particolarmanete in un paese come l’Italia dove è il sistema dei partiti e dei media a “fare” la politica, in un gioco di consolidate autorefenzialità e connivenze che lasciano ben poche sponde di interlocuzione ad altri soggetti.
A Siena si trattava di verificare se e quanto il “movimento” che si era reso visibile il 13 febbraio avesse realmente mobilitato le coscienze femminili (e maschili) al di là dell’indignazione, quanto avesse sedimentato in termini di pratiche e strutture associative. Se ci fosse la possibilità di reggere la trasversalità della proposta politica a soggetti di diversa appartenenza e di diverse generazioni. E ancora, se le modalità adottate per convocarsi e discutere fossero davvero un embrione di organizzazione orizzontale e partecipata o se il “vizio” di una direzione eterodiretta e poco trasparente fosse presente e attivo.
Più nascosta, ma visibile, si è avvertita l’esigenza di ricucire un dialogo con le realtà del femminismo già attive da tempo – gruppi, riviste, associazioni, centri – che sembravano essere state cancellate dal quadro di analisi del primo documento (Di-nuovo) del gruppo promotore, con il rischio non solo di non riconoscere l’enorme mole di preziose analisi, pratiche e iniziative accumulate, ma anche di rappresentare ancora una volta il “risveglio” delle donne come un eterno ricominciare sempre da zero. Con una perdita secca di profondità, e una ulteriore difficoltà di rapporti tra le generazioni. Perché non valorizzare questo patrimonio, ricco e composito, significa in qualche modo accreditare la vulgata del “silenzio” delle donne accreditato dai media, senza considerare invece centrale, e politicamente rilevante, la mancanza di ascolto delle loro voci.
Ma “ascolto” è una parola troppo vaga: quello di cui le donne – intese come soggetto politico composito ma riconoscibile – credo che abbiano bisogno è essere assunte come un soggetto portatore di istanze, analisi e proposte di cui occorre tener conto su tutti gli assi della politica nazionale: dal lavoro alle politiche familiari, dai diritti soggettivi ai meccanismi della rappresentanza, dalla cultura all’istruzione e alla ricerca, dalle politiche di immigrazione al welfare, dal bilancio dello Stato ai sistemi di tassazione. Ciò che abbiamo di dire ha a che fare non con “i problemi delle donne” (ah, la vecchia “questione femminile”!) – come sembrano ancora pensare sindacati e partiti, anche della sinistra nelle sue varie declinazioni – ma con l’agenda delle priorità di un Paese che crede di poter uscire dalla crisi politica ed economica in cui versa attraverso vecchie ricette senza immaginazione. Come si è visto ad esempio nella manovra finanziaria, approvata in tre giorni da tutte le forze politiche, governo e opposizione, per “carità di Patria” e negli ulteriori provvedimenti adottati in agosto per “bloccare” la crisi dei mercati finanziari. “Manovre” che confermano la “secondarietà” delle donne rovesciando su di loro il prezzo dei tagli ai servizi sociali e alle pensioni. Mentre il tema all’ordine del giorno è “governare” una società complessa e plurima.
Se ne è parlato anche a Siena, dove le aspettative sono sembrate altissime: un’assemblea a cielo aperto – non una piazza di movimento – ha messo a tema molte delle questioni più urgenti. Sono intervenute circa 140 donne, tempi di parola contingentati (e rispettati). Ma in troppe per discutere davvero. Quale forma darsi per consentire non solo la discussione ma la presa di decisione senza ricadere in formule poco inclusive o verticistiche? E, ammesso che delle decisioni vengano prese su obiettivi concreti e praticabili, come dove e con chi negoziarli?
Qui tornano in ballo questioni di metodi dell’agire e forme della rappresentanza politica di cui il femminismo discute sin dagli anni Settanta. Affrontare i nodi del potere attraverso la democrazia nelle sue forme consolidate in questo Paese non basta semplicemente perché per le donne non ha funzionato. Esclusa, mi pare di aver capito, l’ipotesi di un “partito delle donne” – strada per altro già pratica, con risultati controversi, negli anni scorsi da Emily – resta l’esigenza di un modello organizzativo che ci assomigli, pur nelle nostre differenze, da pensare in modo creativo e da sperimentare con grande pazienza e reciproca tolleranza. Dandosi fiducia, possibilmente. Mettendo da parte invidie e sospetti, se ci riesce.
Tuttavia, come sottolinea Mariella Gramaglia c’è da non sottovalutare <<l’insofferenza, presente nell’assemblea, verso il gradualismo>>. Insofferenza che rispecchia un contesto più ampio e che sembra accomunare sia alcune donne adulte che molte battaglie hanno già fatto, sia donne più giovani che l’entusiasmo della partecipazione stanno sperimentando per la prima volta. Un sentimento che si declina in vari modi, ma riassumibile nell’idea che ciò che si dice e si fa non è mai abbastanza, per cui al radicalismo delle domande senza l’autoconsapevolezza del limite nessuna risposta è mai sufficiente.
Snoq si è dato appuntamento per novembre, luogo e date da decidere. Intanto funziona la rete, le reti, con cui tenersi in contatto, informarsi, proporre, discutere, consentire e dissentire. Approfittiamone.