Freddo come un rapporto. Scrupoloso come un inventario. Minimalista come una cronaca. Minuzioso come una ricerca. Non ci sono fasti nel libro di Rosaria Capacchione, L’Oro della camorra. Né flussi di coscienza, né accensioni improvvise di emozioni.
Per un paradosso espressivo, che a prima vista potrebbe apparire un rovesciamento dei ruoli, Rosaria Capacchione, cronista de Il Mattino di Napoli e terza vittima, insieme a Roberto Saviano e al magistrato Raffaele Cantone, della fatwa della camorra dopo il processo Spartacus del 2008, si sottrae a ogni svelamento. Bisogna navigare nella rete e cercare di lei per risolversi, senza temere la retorica, a definirla un’eroina intrepida; per conoscere il suo coraggio e la sua paura; per sapere che, passati i quarant’anni, ha deciso di rinunciare per sempre ai figli perché fa “un mestiere troppo pericoloso”.
E’ in guerra infatti: come il giovane scrittore più magnetico e geniale del nostro paese (so che con questa affermazione mi farò nemiche e nemici), come uno dei magistrati più stimati d’Italia, anche lui narratore (“Solo per giustizia”, Mondadori 2008).
Eppure i due uomini si raccontano. Il primo straziato e febbrile come un Cristo pasoliniano. Il secondo trattenuto e autorevole, come impone una professione che plasma al governo severo di se stessi.
Lei no. Lei racconta le cose che vede. Ma spesso sono cose molto carnali, molto concrete.
Ecco l’immensa, bulimica, frivolezza di Pasquale Zagaria, detto Bin Laden, boss di Casapesenna. Un guardaroba da Imelda Marcos, per chi ancora la ricorda: 75 paia di pantaloni griffati Loro Piana, Burberry’s, Brioni, 92 paia di scarpe, ciabatte e stivaletti, inesorabilmente firmati anch’essi, Gucci, Prada e Hogan; e avanti così, con cappotti di cachemire, bluse di renna, decine di borse, trolley e bauletti tutti, neanche a dirlo, Louis Vuitton. Nel descrivere tanta grottesca ingordigia, Rosaria svela qualcosa sugli stili maschili e sulla malavita contemporanea. In una società mobile e globale, finita la vecchia guapperia napoletana dei tempi precedenti al terremoto, è dal fasto e dallo sfoggio che “un vero uomo” si fa riconoscere. Non solo a Casal di Principe, ma sui voli internazionali che lo portano a trafficare con i suoi pari. Del resto a Mumbai, nei grandi alberghi dove arrivano accompagnati dai guardaspalle, i boss indiani gigioneggiano allo stesso modo, in scarpe Gucci e borselli Prada.
E poi la descrizione di quel che lei chiama “l’omicidio deliberato di tutta la ricchezza produttiva” della sua terra. La distruzione dei migliori frutti dell’agricoltura per ottenere, in maniera truffaldina, i risarcimenti dell’Unione Europea. Rosaria adopera una tenerezza antica nel redigere la lista: “l’oro rosso innanzitutto, i pomodori di San Marzano, le pesche percoche casertane, i cavolfiori, i broccoli, le zucche, le barbietole, le pregiatissime fragole di Parete, le albicocche massicane cresciute su terreno nero, dolcissime”.
O ancora l’ inseguimento dell’irresistibile ascesa, fino alla buvette di Montecitorio, dello zucchero Ipam, il marchio dei clan, gonfio d’acqua perché pesi di più, e difficile da sciogliere nel caffè. E del burro prodotto da Paolo Cecere e dai fratelli Viglione, “troppo bianco”, contaminato di sego di bue e di oli di sintesi chimica, ma regolarmente certificato dalla facoltà di Agraria di Portici.
Femminile nell’amore fisico per la sua terra e nello sguardo acuto e avido di dettagli? Maschile nel rigore e nel “ciglio asciutto”? O, al contrario, femminile nella modestia, nei mezzi toni, nel sottrarsi al cliché della stella dei media?
Guardiamoci dagli stereotipi. Quello che conta davvero è che Rosaria è l’unica donna ufficialmente condannata a morte dalla camorra. Spaventosamente uguale nella differenza. Ce ne eravamo accorte? Se ne erano accorte le donne napoletane e le donne italiane?
Perché è così in ombra? Perché le donne lo sono quasi sempre, oppure perché la rimozione del tragico declino di Napoli e della sua straordinaria civiltà continua a rinserrare a doppia mandata le coscienze di tutti noi in una gigantesca rimozione? Quelle dei napoletani colti perché “Napoli è anche altro, non solo camorra e morti ammazzati e bisogna saperla vedere”. Quelle degli altri italiani perché preferiscono buttare le chiave e non pensarci più, come se non fosse un problema globale, da Milano a Reggio Emilia, da Aberdeen a Cracovia, dal Brasile a Mumbai.
Ma discutere va bene, molto meglio che tacere e far finta di nulla. Grazie a Saviano, ce n’est que un début, continuons le débat.
Purché per Rosaria, per la sua libertà, per la sua vita, ci sia anche un combat. Comunque la pensiamo su tutto il resto.