Non era sola, malata, handicappata. Non aveva un tumore. Non viveva la vecchiaia come un dramma. Non era avvolta dal velo della depressione. Bella, vitale, carnale. Però Roberta Tatafiore si è uccisa. Per delle sue motivazioni. Con una sua grandezza. Compiendo un gesto di cui noi che in tante e tanti l’amavamo, possiamo solo riconoscere la verità.
Per questo non voglio che quel gesto venga sfigurato. Anche da me, senza volerlo. So bene che le ragioni che potrei portare non sarebbero mai le sue ragioni. D’altronde, con quel gesto Roberta si è resa vulnerabile. Si è esposta agli interrogativi, ai morsi della memoria, al ripercorrere di ognuna di noi e di tutte noi il rapporto con lei. Un rapporto che ha accettato, in modo intenzionale e libero, di rilanciare.
Si tratta, dunque, di ascoltarla. Con una attenzione e una cura più dolorosa del solito.
Perché Roberta non era mai semplice.
La conoscevo da molti anni. Si occupava di prostituzione e io recitai per lei in un fotoromanzo sulle “lucciole“. E poi, ci trovammo nel collettivo femminista di via Germanico, al Virginia Woolf. L’ho incrociata nel lavoro giornalistico (manifesto, Radio radicale, Noi donne e di recente, Il Foglio, Libero, Il secolo d’Italia). E’ stata nella fondazione del suo amico, Francesco De Lorenzo per i malati di cancro. Ha scelto questo sito per i suoi articoli. Con questo sito ha polemizzato.
Era bravissima e appassionata nello scrivere. Non nascondeva mai ciò che pensava. Le piaceva, partendo dall’oggi, riprendere il filo del passato. Che ripuliva delle scorie, delle macerie. Mal sopportando gli orpelli ideologici, le costruzioni di cartapesta, le ovvietà mal digerite.
Era libertaria, certo. Sul mercato del sesso scrisse “Sesso al lavoro. Da prostitute a sex-worker. Miti e realtà dell’eros commerciale“ (il Saggiatore) e “Uomini di piacere …e donne che li comprano“ (Frontiera). Oltre a affiancare, in seguito, Livia Turco che da ministra si occupò della prostituzione e della “tratta“.
Quanto alla violenza sessuale seguì, in rapporto continuo con la femminista e deputata Franca Chiaromonte, la discussione sulla legge e pubblicò “De bello fallico, storia di una brutta legge sulla violenza sessuale“ (Baraghini).
Era laica in maniera eccelsa. Non ha mai pensato che la laicità dovesse definirsi o reggersi sull’ipocrisia, sugli interdetti, sulle leggi, sull’annullamento dell’altro. Anche per questo si è sotratta agli schemi della sinistra.
Il suo femminismo non era mimato. Ma neppure scontato. E dunque, difficile. Per il modo che Roberta aveva di guardare ai rapporti con le donne. Li tirava fino quasi a spezzarli e poi li riprendeva in mano. Con lei ho avuto liti furiose. Si bloccava a un certo punto e diceva: Io sono fatta così. Io penso così. Non riuscirai a farmi cambiare idea. E’ stato complicato tenere questo filo con Roberta Tatafiore. Sarà impossibile perderlo.