Ascoltando la radio (le benemerita Rai tre) ho imparato che ora tra i libri letti dai e dalle più giovani spopola il genere “Romantasy”. Più o meno si tratta di questo: al classico genere “Fantasy” – dal Signore degli Anelli a Harry Potter fino, su un altro piano a mio modesto parere, alle saghe ideate da Ursula Le Guinn – mancava, si diceva in quel programma, un ingrediente più esplicitamente amoroso e erotico. Ora una schiera di scrittrici sta ponendo rimedio, e i loro titoli furoreggiano tra i teenager, trainati da TikTok. Fantasy dunque “aggiornata” con opportuni inserti “romantici”, modernamente intesi senza troppe inibizioni.
E oggi passando in una libreria sono stato attratto da un titolo della seriosa editrice Laterza: Le postromantiche. Sui nuovi modi di amare. Qui il romanticismo è tirato in ballo come qualcosa che ci si lascia alle spalle. Ma non del tutto se in un virgolettato dell’autrice Carolina Bandinelli si afferma, tra l’altro: «Ma poi, al di là di tutti questi discorsi, romantici e postromantici, queer o etero, poli o monogami, alla fine stiamo sempre parlando di vite che si incontrano…».
Ma ecco il punto, se si parla di amori, spunta fuori il romanticismo. Da molto tempo una femminista come Lea Melandri, con il suo libro Come nasce il sogno d’amore, uscito nel 1988 e ristampato l’anno scorso da Fernandel, ha decostruito e demistificato l’illusione di una fusione “romantica” che di fatto ha storicamente favorito il dominio maschile.
Ma tant’è la “Romantik” risalta fuori.
Queste coincidenze mi inducono a parlare – o forse riparlare – di un pensiero che negli ultimi anni mi ritorna in mente. Da ragazzo pensavo male del “romanticismo”. Amavo già da un po’ la musica e vedevo in Beethoven il genio che certo poteva essere qualificato anche come romantico, ma che specialmente con le sue ultime opere – non solo la possente nona sinfonia – ma ancor di più con le ultime sonate e gli ultimi quartetti era riuscito a proiettarsi addirittura al di là di tutte le “romanticherie” che lo avrebbero seguito. Insomma, tanto valeva dopo quelle sue tarde note saltare direttamente a Debussy, Stravinsky, Shostakovich, Schoenberg ecc. e certo il jazz (John Coltrane soprattutto, per quanto mi riguarda…).
Ma invecchiando mi sono un po’ ricreduto. Come si può rimuovere la meravigliosa musica di Schubert, e quella di Chopin, Mendelssohn, e soprattutto quella di Schumann? (Si capirebbero del resto i Beatles e molto altro di attuale senza quei precedenti?).
Passioni musicali senili che mi hanno portato a rileggere alcuni scritti del primo romanticismo tedesco – tra fine ‘700 e primi dell’’800 – Novalis, i fratelli Schlegel, con le signore della combriccola che si incontrava a Jena, all’ombra di Schiller, Goethe, Fichte ecc. E mi sono fatto dilettantescamente l’idea che in quell’attimo della storia europea, attraversata dall’imprevisto radicale della rivoluzione francese, l’ammirazione ma anche la reazione critica romantica al frutto dell’Illuminismo afferrato all’idea della ragione, poteva aprire una “rivoluzione nella rivoluzione”, per dir così, potenzialmente capace di frutti migliori. (La cosa è stata da poco gradevolmente romanzata da un’altra autrice interessante: Andrea Wulf, Magnifici Ribelli. I primi romantici e l’invenzione dell’Io, Luiss University Press, 2023).
La vittoria c’è stata: si può pensare bene o male dell’”amore romantico”, ma è certo che nessuno si sogna di dire a cena “amore illuministico”. E può darsi che il ritorno del romantico sia uno dei sintomi della reazione che si sta affermando.
Ma se avessi la cultura necessaria scriverei un saggio, per pensarci bene e meglio…