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Microcritiche / Il lavoro torna nel cinema italiano?

15 Dicembre 2023
di Letizia Paolozzi

CENTO DOMENICHE – Film di Antonio Albanese, con Antonio Albanese, Donatella Bartoli, Liliana Bottone, Giulia Lazzarini, Elio De Capitani, prodotto da Palomar e Leo, collaborazione di Vision Distribution.
PALAZZINA LAF – Film di Michele Riondino, con Michele Riondino, Elio Germano, Vanessa Scalera, Domenico Fortunato, Eva Cela, distribuito dalla Bim.

Era troppo tempo che il cinema italiano (al contrario di quello francese) non parlava di lavoro. A rompere il silenzio, escono uno dopo l’altro il film di Antonio Albanese Cento domeniche e Palazzina Laf di Michele Riondino.
Il primo racconta il dramma dei piccoli risparmiatori (comincia trenta e più anni fa il crac delle banche: Banco di Napoli, Monte dei Paschi di Siena, Parmalat, e poi Carige, Etruria, Popolare di Vicenza…) che hanno visto andare in fumo i loro progetti di vita.
Come Antonio Riva, ex operaio metalmeccanico. Vedovo, una madre da assistere, un’amante sposata che va a trovare con regolarità, ha sempre fantasticato di portare all’altare la figlia, pagando il ricevimento perché “tocca al padre della sposa”. I risparmi, la liquidazione dovevano servire alla cerimonia ma si sono volatilizzati.
La “sua” banca (la Popolare di Vicenza), il direttore della banca della quale si fidava ciecamente, l’hanno imbrogliato: le obbligazioni trasformate in azioni non valgono più niente. Non vale più niente la fedeltà alla fabbrica; il padrone non gliela riconosce.
La macchina da presa si muove scrutando le espressioni melanconiche della faccia di Albanese poi riprende gli improvvisi scatti d’ira, lo stupore di fronte alla scoperta di un tradimento sociale: davanti all’ex operaio metalmeccanico umiliato si apre un precipizio impossibile da evitare.
In Palazzina Laf (acronimo di “laminatoio a freddo”), Michele Riondino sceglie invece il registro grottesco (l’avevano usato nel ’72 Elio Petri con La classe operaia va in Paradiso e Lina Wertmuller con Mimi metallurgico ferito nell’onore) per raccontare di un luogo dove, alla fine degli anni Novanta, vengono confinati settanta tecnici e operai specializzati che non accettato la proposta aziendale di lavorare con mansioni e qualifiche inferiori a quelle precedenti.
Luogo emblematico – una palazzina in disuso nel complesso siderurgico dell’Ilva di Taranto – nella quale, nel 1997, la comunità dei “tolti di mezzo” sta rinchiusa a non fare nulla. Alla fine, dopo la decisione della magistratura di occuparsene, arriverà la prima sentenza di mobbing in Italia.
Michele Riondino, militante tarantino con l’associazione Afo6 e Uno Maggio libero e pensante, padre pensionato Ilva, fratello che lavora nell’acciaieria, ha scritto assieme a Michele Braucci Palazzina Laf dopo aver studiato le carte processuali.
Riondino interpreta l’operaio Caterino Lamanna, abbindolato da Giancarlo Basile (Elio Germano, un grande “cattivo”), dirigente dell’Ilva per il quale accetta di spiare i compagni di lavoro.
Il film è dedicato a Alessandro Leogrande che avrebbe dovuto firmare la sceneggiatura ma è morto durante le riprese. La canzone “La mia terra” è stata scritta per il film dal vincitore della 70/a edizione del festival di Sanremo, Diodato.
Abbiamo scritto: finalmente il cinema italiano parla del lavoro. Ma è un lavoro marchiato dallo sfruttamento, bassi salari, solitudine, frammentazione.
L’operaio dell’Ilva, un disgraziato che vuole sfangarsela, un Giuda irresponsabile che non appartiene ai tempi della “rude razza pagana senza ideali, senza fede e senza morale” di Mario Tronti, e il piccolo risparmiatore ex operaio di Olginate, laboriosa provincia lombarda, sono lavoratori troppo impauriti per aprire conflitti a partire dalla loro soggettività o differenza, come fu negli anni Settanta.
E se per le banche è intervenuto lo Stato, nel caso dell’Ilva, tra la famiglia Riva, il sindacato, la magistratura, i partiti politici, non si salva nessuno.
L’acciaieria dalla quale dipende l’esistenza di mezza Taranto, non ha affrontato nessuno dei suoi mali: dalla tossicità alla pericolosità di alcuni ambienti di lavoro, dall’inquinamento al danno alla salute pubblica. Ancora oggi, dopo la vendita della fabbrica (al 62% degli indiani e al 38% con partecipazione statale), l’Ex Ilva funziona poco, duemilacinquecento dipendenti sono in cassa Integrazione straordinaria fino al 31 dicembre 2023.

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