Pubblicato sul manifesto martedì 28 novembre 2023 –
Sabato 25 novembre, il giorno della grandissima manifestazione a Roma, e in tutta Italia, contro la violenza maschile sulle donne, sulla prima pagina del Corriere della sera un commento di Venanzio Postiglione era intitolato “Il patriarcato c’è”. Il testo invitava gli uomini a prendere definitivamente atto che, se la responsabilità dei femminicidi e delle violenze misogine resta degli individui che le compiono, c’è poi una responsabilità collettiva, prima di tutto di noi maschi, nell’impegno a superare pensieri, pregiudizi, comportamenti, rimozioni che derivano dalla sopravvivenza della cultura patriarcale. E che portano a varie forme di prevaricazione, fino ai femminicidi. È necessario, ho letto in quel testo, un “salto nella testa”.
È vero, un salto nella testa e quindi nel linguaggio, nel simbolico direi, sapendo che il dominio maschile è durato per secoli, e ha messo radici nella cultura che ereditiamo e nella psicologia profonda, nell’inconscio individuale e in quello collettivo. Postiglione invita a rileggere Cesare Beccaria per non illudersi che aggravando le pene si possa davvero cambiare qualcosa, e Dante, che mette in bocca a Ulisse la frase che abbiamo imparato a scuola: “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”.
Cominciamo a scegliere che cosa salvare del patriarcato?
Forse i “salti nella testa” dovrebbero essere più di uno. Che fare e che pensare per far sì che la grande reazione all’uccisione di Giulia non svanisca nelle prossime settimane, lasciandoci alle spalle la “giornata internazionale” del 25? Perché questa improvvisa discussione pubblica a notevole, inedita partecipazione maschile sul patriarcato e la violenza non si esaurisca come una delle tante “fiammate mediatiche”?
Ieri, sempre sul Corriere, Paolo Mieli spostava il discorso, citando una intervista di Adriana Cavarero, filosofa femminista, sul fatto che Non una di meno nel testo sulla manifestazione di sabato ha solidarizzato col popolo palestinese e criticato Israele senza dire nulla delle violenze terroristiche (stupri compresi) di Hamas. Credo anch’io che sia stato un errore grave. E che sia giusto discuterne. Non penso però, a differenza di Mieli, che questo possa ridimensionare il significato di quelle manifestazioni.
Uno dei “salti nelle teste” maschili me lo auguro a questo proposito: conoscere e citare il sapere del femminismo magari non solo quando riguarda polemiche e conflitti, attingendo a quelle ormai vaste biblioteche di testi che spiegano come si è arrivati alla messa in discussione del patriarcato, a quella “rivoluzione antropologica” (Cacciari dixit, sia pure en passant) che si manifesta nel mondo, dalle rivolte a Teheran alla piazza di Roma. Lo dice meglio di me Maria Luisa Boccia in una intervista, su l’Unità .
Ma un altro “salto” sarebbe più importante.
Se è giusto essere solidali con il popolo palestinese senza dimenticare l’assalto terrorista di Hamas, e sostenere la lotta che tanto nei territori palestinesi quanto in Israele donne e uomini conducono da decenni contro la guerra e per la convivenza e la pace, credo sia maturo il rifiuto radicale, oltre che della violenza maschile contro le donne, anche della violenza bellica.
Anche in questa vedo la matrice della cultura maschilista e patriarcale: nella tragedia di Israele e Palestina – ma gli esempi potrebbero essere molti – i più violenti sostenitori della guerra e del terrorismo sono i fanatici integralisti religiosi, maschi e misogini, di una parte e dell’altra.
Anche questo ci riguarda.