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Microcritiche / Razzismo oggi in Transilvania

8 Luglio 2023
di Ghisi Grütter

ANIMALI SELVATICI (RMN) – Film di Christian Mungiu. Con Marin Grigore, Judith State, Macrina Bârlădeanu, Orsolya Moldován, Andrei Finți, Mark Blenyesi, Ovidiu Crișan as Mr. Baciu. Romania 2022.

Ci sono zone in Europa di cui tendiamo a dimenticare l’esistenza e le riscopriamo solo dopo qualche drammatico evento bellico (come ad esempio la Cecenia e l’Ucraina) oppure qualche ricorrenza di tipo turistico, come ad esempio la Transilvania e il conte Dracula. Ecco, appunto, il film tratta di questa frangia di territorio, la Transilvana, che è sempre stata motivo di una tormentata contesa tra gli ungheresi e i romeni. Qui si riscontrano anche molte presenze rom, ebraiche e, anche, alcune etnie tedesche. Così anche per la compresenza di religioni. La Transilvania è una terra ricca di risorse minerarie come ferro, piombo, lignite, manganese, oro, rame, sale, zolfo e gas naturale ed ha grandi stabilimenti industriali chimici, acciaierie e industrie tessili. Ulteriori risorse economiche sono nell’ambito dell’agricoltura, e nella trasformazione del legname.
L’attuale infelice periodo che stiamo vivendo, ha dato nuova voce al razzismo e, trincerandosi sotto facili nazionalismi, ha fatto riemergere le tematiche della paura del diverso e della xenofobia. Il film è basato su un fatto vero accaduto nell’inverno 2019/2020 a Ditrau, un comune di 5.806 abitanti ubicato nel distretto di Harghita, regione storica della Transilvania.
Nel piccolo villaggio scelto dal regista, nato anche lui in Transilvania, c’è un panificio che necessita di ulteriori risorse umane per ricevere i fondi della Comunità Europea. Solo pochi lavoratori sono della contea perché i romeni preferiscono svolgere lavori meglio pagati e si trasferiscono all’estero, prevalentemente in Germania. Quindi il panificio inizia ad assumere lavoratori che vengono dall’estero e così arrivano dallo Sri Lanka tre fornai cingalesi. Quasi due settimane dopo, la loro presenza provoca una rivolta di una parte della comunità che li vede come minaccia per il villaggio. L’atmosfera di intolleranza si trasforma presto in xenofobia con minacce di morte. Tra le motivazioni addotte, il timore che l’emergere di “un’ondata di migranti” avrebbe potuto imporsi suolla cultura locale e mettere in pericolo la sicurezza della gente del posto. Al Municipio del villaggio, subito dopo il Natale, viene inviata una petizione firmata da 1.800 persone con diverse richieste, tra cui il miglioramento delle condizioni di lavoro in generale, ma soprattutto la fine dell’immigrazione nel villaggio con domande di risarcimenti e scuse alla popolazione.
In questo contesto si inseriscono le vicende di Matthias (interpretato da Marin Grigore) lavoratore in un mattatoio che torna dalla Germania dopo aver ricevuto un insulto razzista: qualcuno lo ha appellato “zingaro”. Ha un vecchio padre malato di tumore al cervello, Otto (interpretato da Andrei Finți) – da cui il titolo originale: Risonanza magnetica nucleare RMN – che vive da solo con le sue nove pecore. Ha anche un figlio di otto anni, Rudi (interpretato da Mark Blenyesi) che, spaventatosi nel bosco per qualche ragione, non vuole più parlare e vive con la mamma Ana (interpretata da Macrina Bârlădeanu). Secondo Matthias, Ana tende a coccolarlo troppo con il rischio di trasformandolo in una “femminuccia”. A sua volta Matthias ha come amante Csilla (interpretata da Judith State), la direttrice del panificio, una donna ungherese intelligente e battagliera. Matthias è un uomo semplice e un po’ rude, interpreta i valori tradizionali del maschio come il mito che il vero lavoro è espressione di forza fisica oppure che le donne diventano una sorta proprietà, ma, in fondo è un debole non abituato a porsi troppe domande e incapace a prendere posizione. Probabilmente è solo bisognoso di gratifiche affettive che Csilla, alla fine, decide di non concedergli.
Il film fa riflettere sulla nascita dei fenomeni del razzismo e del sovranismo e di come si possano espandere velocemente e amplificare. La piccola comunità, fomentata anche dal parroco, riunita in assemblea nella chiesa, – girata con i un unico lunghissimo piano sequenza – interviene contro gli stranieri, quelli che “vengono da noi e ci portano le malattie”, quelli che “prima vengono in due, poi portano le loro tre mogli e i loro dieci figli, e alla fine ci invadono”. E anche contro quelli che “prima o poi si fanno esplodere o ci investono”.
Il regista romeno in un’intervista afferma: «il dovere dell’arte è anche mostrare cose scomode di cui preferiamo tacere… “Animali selvatici” parla del mondo attuale, della nostra natura, di noi come esseri umani. Sicuramente non c’è molto ottimismo: siamo troppo spesso irresponsabili, privi di empatia, invidiosi, egoisti, irrazionali, impulsivi e aggressivi. Se guardiamo ai conflitti militari o alle diseguaglianze, rimarranno pochi motivi per essere ottimisti».
L’atmosfera del film è quasi magica contemporaneamente onirica e realista, la convivenza con gli animali è simbolica (ci si traveste da animali durante le festività) ma anche osmotica.
Animali selvatici” è stato presentato in anteprima in concorso al Festival di Cannes 2022 e con questo film Mongiu si guadagna un posto di riguardo nella cinematografia dei paesi dell’est Europa.

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