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Microcritiche / America anni ’80: ascoltate il nonno Aaron

26 Marzo 2023
di Ghisi Grütter

ARMAGEDDON TIME – IL TEMPO DELL’APOCALISSE
Regia di James Gray. Con Anthony Hopkins, Anne Hataway, Michael Banks Repeta, Jeremy Strong, Jaylin Webb, Jessica Cahstain,Tova Felstun, Rayan Sell, USA 2022. Fotografia di Darius Khondji.

In questi ultimi anni, molti registi scelgono di guardare al passato e di ripercorrere gli anni della propria adolescenza. Molte volte si parla dei problemi di ieri per parlare velatamente di quelli di oggi, spesso irrisolti, magari aumentati in trent’anni.
“Armageddon time” è un ennesimo film autobiografico che narra di una generazione in via di estinzione che era adolescente negli anni ‘80. Ottime le ricostruzioni, perfette le musiche, sempre alternate tra quelle d’epoca (ad esempio i Beatles) e brani di musica classica.
Siamo nel Queens a New York tra il 1980 e il 1981 e l’adolescente Paul (interpretato da Michael Banks Repeta) cresce in una classica famiglia ebraica. Il padre Irving (interpretato da Jeremy Strong) è un idraulico figlio di operai che aggiusta prevalentemente scaldabagni e che ha “americanizzato” il suo cognome ebraico in Graff, mentre la famiglia della madre Esther (molto ben interpretata da Anne Hataway), è più intellettuale (i nonni erano insegnanti) e viene originariamente dalla Polonia (come James Gray, del resto). C’è anche una vecchia zia zitella che racconta di aver lavorato nella Prefettura (Tova Felstun).
I rapporti interpersonali all’interno della famiglia sono ritratti splendidamente: dai conflitti tra fratelli alle difficoltà di rapporto tra padre e figlio, dalla madre che svolge il ruolo dell’essere sempre accomodante a quello dello strepitoso nonno Aaron, in una superba interpretazione di Anthony Hopkins. Nonno Aaron è un uomo che ha sofferto e che crede che la vita sia ingiusta, ma che non smette mai di combattere le discriminazioni avendole vissute sulla sua pelle.
Uno scenario classico è costituito dalla scelta della scuola: scuola pubblica o scuola privata? Per salire nella scala sociale e fare carriera è più adatta la privata e, infatti Ted (Ryan Sell), il fratello maggiore va già a quella che è piuttosto costosa, mentre Paul inizia a frequentare quella pubblica. Lì fa amicizia con l’unico afroamericano della classe. Entrambi sono un po’ istrioni e vivaci e vengono presi di mira dai professori. In modo quasi meccanico più vengono repressi e più si ribellano facendo anche cose stupide e al limite del legale. La famiglia di Paul non ha dubbi: Paul deve cambiare scuola e andrà a quella privata dove vige una ferrea disciplina.
Paul Graff per affrontare il passaggio dall’infanzia all’adolescenza aveva scelto anche l’amico sbagliato – un orfano nero un po’ sfigato interpretato da Jaylin Webb – e finiscono per fare cose che li incasinano entrambi. Oltretutto Paul è un sognatore, ama disegnare e dipingere, spesso si distrae in classe e si sente un po’ a disagio con i compagni della nuova scuola che si dimostrano razzisti e classisti (una scuola rigorosamente per bianchi). Ma Irving Graff – insoddisfatto della propria posizione sociale – vorrebbe tanto che il figlio continuasse gli studi e andasse al college per riuscire in qualche professione e guadagnare bene; in fondo il sogno americano è quello: sono venuti tutti dall’Europa perché in questa terra ci sono tutte le opportunità. La ben espressiva Esther Graff sembra volerci parlare del suo passato che, anche se non esplicitato, deve essere stato pieno delle stesse difficoltà che sperimenta il figlio oggi, di insoddisfazioni, di compromessi e di rinunce fino ad accettare la vita che conduce ora.
Forse l’unico è il nonno che capisce Paul, lo spinge a trovare la sua strada, sostiene le sue ambizioni regalandogli i tubetti dei colori e dandogli vari consigli: «Prima di tutto il disegno lo devi firmare se vuoi diventare famoso», gli dice.
Il regista aveva già avuto modo di toccare alcuni argomenti nei suoi film precedenti, basti pensare ad esempio a come era demanding la famiglia ebraica in “Two Lovers”.
Armageddon Time” ha anche un côté politico perché vuole evidenziare alcune tematiche che finiranno per far eleggere nel 1981 Ronald Reagan, al posto di Jimmy Carter, a Presidente degli Stati Uniti: il classismo e il razzismo, la crescita dei poveri, le discriminazioni di ogni genere ecc. Il tutto è raccontato dal regista in modo discreto senza mai essere sovratono.
I luoghi descritti sono prevalentemente gli interni: la casa e le due scuole, fotografati da Darius Khondji (fotografo che ha già lavorato con Michele Haneke e Woody Allen) con un filtro marrone che dona una patina di antico e aggiunge cupezza al coming age. C’è una differenza abissale tra la scuola pubblica e quella privata (la Kew-Forest School appartiene addirittura alla famiglia Trump), mentre il contesto residenziale è fatto da anonime case unifamiliari ripetitive, un classico della middle-class statunitense.
Questo non è il primo film di Gray che analizza le comunità bianche della periferia newyorkese, versus quella nera. Little Odessa (1994) era ambientato Brighton Beach, The Yards (2000) nel Bronx; in C’era una volta a New York (2013) era mostrata Ellis Island.
Armageddon Time” è ben diretto, contenuto, minimalista, ben recitato, ma non si può dire che sia particolarmente originale.

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