Pubblicato sul manifesto il 7 marzo 2023 –
Mi sono compromesso “minacciando” di insistere nel dare consigli agli uomini del Pd – e di altre forze della sinistra – dopo l’elezione di Elly Schlein. Fatto che si contrappone nell’immaginario politico alla affermazione di Georgia Meloni, e dal quale si attendono cose positive, se non un vero miracolo di ritorno alla vita.
Non mi piace, però, fare il grillo parlante, a parte il rischio di finire schiacciato da chi si stufa del saputello cri-cri.
Ma domani è l’8 marzo, l’universo femminile è impegnato in tutto il mondo in azioni di festa, di lotta, di azione e discussione. Che pensare e che fare da parte nostra?
Il movimento Non una di meno rilancia lo sciopero globale che riguarda non solo la tradizione operaia di astenersi dal lavoro “produttivo”, ma soprattutto, da parte delle donne, il rifiuto di prestare quel lavoro “riproduttivo” e di cura che continua a non essere visto (e non calcolato dallo stupido Pil), e che assicura al nostro mondo di esistere – facendoci nascere – e di sopravvivere nonostante l’enorme quantità di violenza distruttiva che in genere proprio noi maschi esercitiamo. Dalla dimensione domestica alle guerre più efferate.
Sarebbe una grande novità se dicendo lavoro (e già lo diciamo poco e male) si pensasse a questa dimensione intera. Come hanno detto alcune amiche femministe: tutto il lavoro necessario per vivere. Vedi il testo “Immagina che il lavoro…”
Ecco una via per inverare l’auspicio (di Fratoianni): con Schlein “le parole della sinistra avranno più volume e più forza”. Aggiungo, grilloparlantescamente: non sarebbe carino ora aspettarsi dalla giovane leader (come la fatina di Peter Pan?) la soluzione della crisi di culture politiche di cui noi uomini siamo stati inventori e restiamo incapaci rinnovatori.
Concludo – per il momento – dopo lavoro, con altre tre parole da meditare.
Antifascismo. A Firenze finalmente una bellissima manifestazione: sacrosanto mettere sugli striscioni sindacali la Costituzione, dire che la scuola è il luogo per imparare la libertà e la democrazia. Rileggiamo Gramsci, come consiglia la preside Annalisa Savino, ma anche, suggerisco, Pasolini: discutendo con Calvino, si augurava di incontrare e di conoscere i “giovani fascisti” della sua epoca. “Non sono nati – diceva – per essere fascisti”. Perchè ancora oggi si definiscono tali e sono violenti? La scuola, e la politica, non dovrebbe anche tentare il confronto e l’interlocuzione? (vedi il volumetto provocatorio Pasolini. Il fascismo degli antifascisti, Garzanti, 2018).
Giustizia. Luigi Ferrarella, sul Corriere della sera, a proposito dell’inchiesta sul Covid, ha osservato che sarà impossibile dimostrare nel processo penale che ci sono dei colpevoli. Sarebbe più giusto cercare la via della “giustizia riparativa”, come si è fatto dopo alcune guerre: incontrarsi tra responsabili politici e tecnici, e chi ha subito la morte dei propri cari, con le opportune mediazioni. Per elaborare insieme errori e lutti. E non continuare a sbagliare, prima di tutto guarendo una sanità malata.
Inclusione. Una parola forse abusata a proposito di linguaggi, diritti e “minoranze” che esigono riconoscimento? Ho ascoltato Adriana Cavarero (a un seminario della scuola superiore S.Anna ) porre la domanda: includente non rischia di significare anche totalizzante, universalizzante? All’ “ossessione inclusiva” non va opposta la trasformazione radicale che porta alla libertà di tutti i soggetti e tutte le differenze, oltre un dominio capitalistico nel fondo ancora patriarcale?