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L’indipendenza simbolica e il correttore del Senato

31 Luglio 2022
di Letizia Paolozzi

Il (o la?) Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati

Non risponde al vero ciò che nei documenti ufficiali del Senato della Repubblica italiana viene connotato con il maschile: I senatori, dal momento che in questo stesso Senato circolano pure le senatrici.
Ma tant’è. La lingua registrava il fatto che di ministre, sindache, consigliere non se ne vedessero all’orizzonte di quei mestieri tradizionalmente appannaggio maschile. Tuttavia, grazie alla spinta per l’emancipazione e poi al movimento politico delle donne, le cose sono cambiate e ora circolano la ministra Cartabia, è stata sindaca di Torino Chiara Appendino e compare qualche sparuta consigliera regionale (il fatto che in Sardegna siano otto su sessanta suggerisce però che l’accoglienza nei confronti del femminile non sia tra le migliori).
Dunque, per smetterla con la litania del maschile sempre e ovunque, è stato presentato un emendamento, prima firma la senatrice Alessandra Maiorino, del M5s, che prevedeva l’introduzione del “linguaggio inclusivo” in tutte le comunicazioni istituzionali scritte di Palazzo Madama.
E precisamente l’emendamento, presentato all’interno della riforma del Regolamento in discussione in questi giorni, recita che “il Consiglio di presidenza stabilisce i criteri generali affinché nella comunicazione istituzionale e nell’attività dell’amministrazione sia assicurato il rispetto della distinzione di genere nel linguaggio attraverso l’adozione di formule e terminologie che prevedano la presenza di ambedue i generi attraverso le relative distinzioni morfologiche, ovvero evitando l’utilizzo di un unico genere nell’identificazione di funzioni e ruoli, nel rispetto del principio della parità tra uomini e donne”.
Ma Fratelli d’Italia ha chiesto il voto segreto facendone, esagerati eh? “una questione di coscienza”. Così l’emendamento è stato respinto con 152 voti favorevoli, 60 contrari e 16 astenuti, non sufficienti a raggiungere la maggioranza assoluta.
Esempio di maschilismo mascherato? Grettezza, opportunismo delle retrive forze di destra? Ostilità da parte della presidenza del Senato? Certo, Maria Elisabetta Casellati, dice di sé nella biografia: Presidente del Senato e membro di varie commissioni. Peraltro, il testo inizia con la Senatrice Casellati e poi si racconta di quando fu eletta Senatore della Repubblica. E via di questo passo.
Grande disordine sotto il cielo benché l’incertezza e la confusione non rendano la situazione linguistica eccellente. Questo uso del maschile al plurale come neutro per indicare anche persone che maschi non sono, viene accettato sempre meno. Con l’eccezione di quelle istituzioni che sembrano essergli affezionate.
Dopodiché qualcuno, forse Alessandra Maiorino, dovrebbe spiegare cosa significa la citazione della “parità tra uomini e donne” mentre a essere indicata è piuttosto la differenza dei sessi. Scrivere, parlare, nominare “la ministra, la deputata, la senatrice” significa decidere di uscire dall’indistinto, appunto dal neutro del maschile che si stende come una notte dove tutti i gatti sono bigi.
Sì, capisco che nel linguaggio istituzionale e in quello dell’Unione europea si fa un grande guazzabuglio tra parità e differenza, però sempre nell’idea che raggiungere la parità significhi rimediare a ciò che alla donna mancherebbe, trasferendola dalla condizione di vittima a quella di simile al maschile (sempre con una cosa in meno, ovviamente).
Colpisce ancora la vecchia teoria del dottore di Vienna per cui l’invidia del pene equivale a invidiare i vantaggi garantiti dall’essere nato maschio?
Quanto al linguaggio “inclusivo”, quello che evitando “l’utilizzo di un unico genere nell’identificazione di funzioni e ruoli”, adotta “formule e terminologie che prevedano la presenza di ambedue i generi attraverso le relative distinzioni morfologiche”, chi e come deciderà di queste distinzioni? Per capirci, il linguaggio “inclusivo” apre a nuovi rischi, tra i quali di nuovo la cancellazione del sesso femminile.
Infine, se c’è caos nella lingua c’è anche nel simbolico. Alessandra Maiorino dovrebbe rendersene conto e non cavarsela con la spiegazione: “Se scrivo “senatrice” in un testo di legge, il correttore lo cambia in senatore”. Per questo sarebbe sufficiente correggere, no, scusate, cambiare il correttore. Temo che l’indipendenza simbolica non la si conquista con gli emendamenti e neppure annacquando la differenza nella parità.

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