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Microcritiche / Un ghiacciolo, uno stupro, un bambino a Trieste

29 Giugno 2022
di Ghisi Grütter

LA RAGAZZA HA VOLATO – Film di Wilma Labate. Con Alma Noce, Luca Zunic, Rossana Mortara, Massimo Somaglino, Livia Rossi, Italia, Slovenia 2021. Fotografia di Sandro Chessa, montaggio di Mario Marrone, suono di Francesco Morosini. Sceneggiatura dei Fratelli D’Innocenzo.

Wilma Labate è un’affermata regista italiana, nota autrice sia di documentari, come ad esempio, “Arrivederci Saigon” del 2018, sia di film come “La mia generazione” del 1996, forse il suo lungometraggio più riuscito. Il soggetto e la sceneggiatura de “La ragazza ha volato” sono stati scritti dagli infaticabili Damiano e Fabio D’Innocenzo, autori di molti film di successo (“La Terra dell’abbastanza” del 2018, “Favolacce” del 2020, “America Latina” del 2021 ecc.), che in soli quattro anni sono passati dall’anonimato allo status di protagonisti, ottenendo in tal modo l’appellativo di enfants prodiges. La mano dei fratelli D’Innocenzo si riscontra principalmente nei toni di storia di marginalità, di adolescenti persi e di adulti “immobili”.
La ragazza ha volato” narra le vicende di Nadia (interpretata da Alma Noce) che ha quasi diciassette anni, vive con i genitori a Trieste e segue i corsi all’Istituto professionale alberghiero. È una ragazzina introversa e schiva, non ha né amici né amiche e la sorella più grande (interpretata da Livia Rossi) vive per conto suo. Un giorno gironzolando nella sua zona incontra Brando, un ragazzo (interpretato da Luka Zunic) apparentemente gentile, che prima le offrirà un ghiacciolo al bar poi l’accompagnerà a casa dello zio con il pretesto di mostrarle una pistola antica. Con lui Nadia avrà (subirà) un rapporto sessuale non voluto al quale non ha avrà la forza di reagire.
Non ci sono altri eventi nel resto della storia: una volta che Nadia ha scoperto di essere rimasta incinta lo deve comunicare alla famiglia e i genitori (interpretati da Rossana Mortara e Massimo Somaglino) decidono di farla abortire. Poi però si salta, in modo non del tutto chiarito, a seguire la sua vita di ragazza incinta.
Il film, attraverso la storia di questa adolescente, è la rappresentazione di un milieu anaffettivo in un’ambientazione italiana nordica, una zona di confine nella periferia triestina. La solitudine, l’incomunicabilità, e la mancanza di coesione sociale portano a vivere una vita priva di emotività, rassegnata, dove perfino lo stupro manca di drammaticità. La vita di Nadia si trasforma dopo il tragico evento, ma sembrerebbe che l’unico reale cambiamento riguardi lo studio e il lavoro, che lei continua a portare avanti in modo sciatto e con mancanza di attenzione.
Il padre di Nadia passa dall’arrabbiatura all’accettazione – forse in modo un po’ troppo repentino – e tutto sembrerebbe rientrare in una normalità più piccolo borghese che proletaria, dove sono le assenze ad avere un grande peso e a farsi sentire. L’assenza di un credo politico o sociale, la mancanza di un credo religioso, l’assenza di un’ambizione o di una prospettiva di vita, e perfino, ciò che incide più di tutto, è l’assenza del desiderio.
In occasione della presentazione della pellicola a Venezia, Wilma Labate aveva detto: «Sono convinta che una storia come questa, in sfumature diverse, ha toccato moltissime donne, forse addirittura nove su dieci. Ho cercato di metterci dentro anche il senso di colpa che una donna si sente dentro quando capita qualcosa del genere».
Trieste è molto ben fotografata da Sandro Chessa, nell’alternanza di zone della città morfologicamente molto diverse. Bellissima città di confine tra tante culture, ma dura, nonostante esista la permissività e la convivenza tra i popoli che rappresenta una sua caratteristica storica. Ma contemporaneamente è presente l’indifferenza, che è una fonte di malessere altrettanto grave.
Trieste è una città efficiente che si percorre bene con vari mezzi pubblici. Di particolare impatto è la scena in cui Nadia prende l’autobus notturno per andare a partorire e ferma esattamente davanti all’ospedale.
Inoltre, Trieste è una città letteraria, è la terra di Italo Svevo e di Umberto Saba, dove ha vissuto anche James Joyce; guardando il film mi sono venuti in mente alcuni libri ubicati a Trieste. In particolare, anche per i tragitti in treno e i panorami descritti, “La ragazza ha volato” mi ha evocato i percorsi del protagonista de Lo Stadio di Wimbledon del 1983, il romanzo più importante di Daniele del Giudice.
Molto bella è la ripresa finale: una carrellata sui balconi – dove però nessuno ha messo un vaso di fiori – dell’edificio residenziale nel quale vive Nadia con la sua famiglia, mostra la coesistenza di vite parallele ma separate.
Il modo di girare di Wilma Labate è di estrema lentezza, quasi un omaggio alla filmografia degli anni ’60 sui quali probabilmente la regista si è formata. Un lungo piano sequenza apre il film, un altro lo chiude.
Alma Noce, giovane attrice torinese, è molto espressiva e regge bene i primi piani che la regista le propone durante tutto il film nel suo flâner in cerca di se stessa.
Il film è stato presentato alla 78/a edizione del Festival di Venezia 2021 nella sezione Orizzonti Extra.

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