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In una parola / Vinceremo mai contro la guerra?

24 Febbraio 2022
di Alberto Leiss

Civili in fuga dal Donbass

Pubblicato sul manifesto il 22 febbraio 2022 –

Lo spettacolo a cui assistiamo intorno all’Ucraina e soprattutto al suo interno induce a un tremendo sconforto. Intanto non ci si può fidare dei due principali autori del dramma. Comprereste un’auto usata (o un cavallo usato) da Putin? E chi si fida degli americani, dopo che un loro Capo di stato maggiore – che sembrava persino una persona seria – sventolò prove false davanti all’Assemblea dell’Onu per giustificare la devastante aggressione contro l’Iraq di Saddam?
Ma ciò che (mi) fa stare più male è la condizione di chi vive in Ucraina, in particolare nelle zone cosiddette russofone, ma non solo. Molti apprezzano la democrazia che da qualche anno vive a Kiev. È vero che i leader di governo cambiano in base al voto, ma un popolo costretto, dagli uni e dagli altri, a partecipare a “esercitazioni militari” con fucili di legno nei parchi dove dovrebbero giocare i bambini, non credo possa essere felice. E poi c’è la tristezza infinita di quegli autobus carichi di donne e bambini che vengono sfollati dalle città del Donbass perché la logica e la pratica della guerra sembra ineluttabilmente doversene impadronire. Una “comprensibile” precauzione, o una nuova mostruosa strumentalizzazione?
Smettiamo di interrogarci se la guerra ci sarà o non ci sarà. La guerra c’è già, e sta già producendo i suoi effetti angosciosi nelle menti di chi la subisce, e forse anche nelle nostre menti: non esistono “distanze di sicurezza” dal fronte. È sempre stato così, e lo è tanto più nell’era delle “intelligenze artificiali” che manovrano comunicazione e informazione (indirizzate dai comandi militari).
Solo questo Papa lo dice con chiarezza, e con nettezza la rifiuta.
Ma non faccio la solita lamentela contro “i politici” in tutt’altre faccende affaccendati. Ci sono da qualche parte altri “politici” meno noti che preparano manifestazioni pubbliche per sabato prossimo, 26 febbraio. E che ne discutono (per esempio sul sito Peacelink.it).
C’è chi, come lo storico Yuval Noah Harari, è intervenuto per dire che ci sono anche motivi per essere un poco ottimisti. Un suo articolo è tradotto sull’ultimo numero di Internazionale: “In Ucraina è in gioco la storia dell’umanità”. Il “declino della guerra”, almeno dal ’45 ai nostri giorni, è qualcosa di percepibile anche statisticamente. Vediamo il paesaggio di morti, dispersi, profughi e migranti in fuga a causa delle guerre, ma oggi – a quanto sembra – fanno molte più vittime gli incidenti stradali, le malattie, i suicidi. Soprattutto è cambiata, scrive lo storico israeliano che pure ha ben presente il dramma dei territori in cui vive, la mentalità delle persone, e persino di chi governa. Una volta le spese militari erano la voce principale dei bilanci delle nazioni. Oggi arrivano in media al 6,5 per cento, molto meno di quanto si spende per la sanità, la scuola e l’assistenza sociale. E ci sembra già uno spreco assurdo e criminale.
Avrei qualche dubbio.
Ma lo ha anche Harari: conclude dicendo che se il cambiamento è prerogativa umana tra le più costanti, i mutamenti elaborati dagli umani sono anche reversibili. La disgraziata passione per la guerra può tornare prima che si finisca davvero per ripudiarla (verbo scritto nella nostra Costituzione e sostanzialmente tradito). La scelta per l’Ucraina assume un valore generale importantissimo.
Manifestiamo sabato. Ma soprattutto pensiamo a che cos’è la guerra. Io la credo indissolubilmente legata al retaggio di una concezione maschile della forza e della violenza. Qualcosa che non ha più molto credito. Ma che non potrà essere definitivamente vinta senza riconoscerla fino in fondo nel lato oscuro dei nostri cervelli e dei nostri cuori.

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