Paradosso, come si sa, deriva dal greco parà doxa , contro l’opinione, cioè – secondo il preferito dizionario etimologico on line – “asserzione contraria alle opinioni accettate dall’universale come vere”.
Su Pier Ferdinando Casini, nei suoi 15 minuti di gloria in vista del Quirinale (sono sempre più contento di poter scrivere su un giornale capace di titoli geniali come “Quirimane”) ho sentito dire, tra le tante, due cose. Lui incarna la “politica” contro il debordare della tecnica. Ma c’è stato chi ha obiettato: come, un “trasformista” come lui? Uno che è stato sia con la destra, sia con la sinistra ecc.
Questa critica è stata subito paradossalmente ribaltata: ma il suo “trasformismo” anzi rafforza nel contesto politico-parlamentare attuale la sua piena candidabilità a quell’alto soglio.
Prima piccola considerazione. Non per difendere Casini, ma esiterei a etichettare tout court “trasformismo” il fatto che un politico diciamo così moderato, e un partito o partitino che lo segue, possa a seconda della situazione o, come si diceva una volta, della “fase”, decidere di allearsi con forze che siedono alla destra o alla sinistra dell’emiciclo parlamentare. Tanto più se questo soggetto politico non è, leggittimamente, entusiasta della logica “bipolare” dei sistemi maggioritari.
A proposito di Casini non dimentico una per certi versi divertente serata a una Festa dell’Unità a Genova, 2010, campagna elettorale regionale. Partecipa l’indimenticabile Don Gallo con il presidente uscente della giunta regionale Claudio Burlando: quali alleanze per vincere le elezioni? Don Gallo non ha dubbi. Dopo avere detto delle cose che sarebbe meglio fare per i liguri, specialmente quelli che stanno peggio, si rivolge a Burlando: “Caro Claudio, per le alleanze non preoccuparti, tu parla con Casini che con Rifondazione ci parlo io…”. E così fu, con la vittoria di un centro-sinistra formato large.
Ma il paradosso principale è un altro. La politica che incarna Casini – quella della cosiddetta “prima Repubblica” – sembrerebbe godere oggi di assai poco credito nell’opinione, se non universale, quanto meno prevalente. E infatti, alla fine, si è fatta una scelta meno discutibile.
Seconda e ultima piccola considerazione. Questo del contrasto tra politica e tecnica mi sembra un oscuro groviglio. La cosiddetta tecnica arriva e ritorna perché la cosiddetta politica fallisce, e torna a fallire. Di fronte alle debolezze dei “leader” e dei mutevoli e molto assottigliati partiti attuali, si può comprendere la nostalgia per i tempi di Aldo Moro e Enrico Berlinguer. Quelli, a suo modo, anche del nostro Casini.
Tuttavia l’attuale crisi della politica dipende grandemente dal fatto che proprio le grandi culture politiche che motivavano i più solidi partiti di una volta credo abbiano esaurito, tutte, la loro “spinta propulsiva”.
Il campo ”socialista” non esiste più (o si è trasformato, in Cina, in qualcosa di molto notevole ma notevolmente inquietante), e la Chiesa cattolica, nonostante gli sforzi ammirevoli del Papa che si è chiamato Francesco, non se la passa bene. Ma non è che liberali o radicali (questi ultimi, in effetti, con più invenzioni e passioni) indichino qualcosa di ancora convincente. Tanto più non convincono le cosiddette novità più “recenti”, in Italia la Lega e poi i 5 Stelle.
Forse non è un caso che Salvini e Conte siano apparsi i più contraddittoriamente agitati e inquieti nella vicenda del “Quirimane”. Quando li ho sentiti affermare, uno dopo l’altro, che avrebbero portato alla presidenza della Repubblica finalmente una donna, lì per lì ho creduto a un accordo vero.
Era solo un gioco di adolescenti, maschi e smarriti.