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Microcritiche / Guardare (e riguardare) le invenzioni filmiche di Wes Anderson

24 Novembre 2021
di Ghisi Grütter

THE FRENCH DISPATCH OF THE LIBERTY, KANSAS EVENING SUN – Film di Wes Andersen. Con Bill Murray, Benicio del Toro, Frances McDormand, Jeffrey Wright, Adrien Brody, Tilda Swinton, Timothée Chalamet, Léa Seydoux, Owen Wilson, Mathieu Amalric, Lyna Khoudri, Steve Park, Elisabeth Moss, Christopher Waltz, Kate Winslet, Willem Dafoe, Edward Norton, Henru Winkler, voce narrante Anjelica Houston, USA 2021. Direttore della fotografia Robert Yeoman, musica di Alexandre Desplat.

Come sempre Wes Anderson confeziona i suoi film (I Tenenbaum, Le avventure acquatiche di Steve Zissou, Il treno per il Darjeeling, Grand Budapest Hotel, Moonlight Kingdom) con molta cura e si può affermare che ogni inquadratura sia un vero e proprio soggetto progettato. Il regista costruisce un film-antologia con alcune parti di animazione che inframezza alla pellicola (il film è realmente girato in pellicola) in live-action, ricca di una carrellata di attori famosi diventati ormai suoi amici, dove ognuno recita nella propria lingua. Del resto Anderson ha girato ben due film di animazione: “Fantastic Mr. Fox” (vincitore ad Annecy nel 2010) e “L’isola dei cani” (2018). Inoltre, “The French Dispatch” mescola scene in bianco e nero con scene a colori.
I nomi dei protagonisti sono spesso un gioco di parole o un cognome famoso preso a prestito (ad esempio il giovane ribelle del ’68 si chiama Zeffirelli) mentre Ennui-sur-Blasé (che vuol dire annoiato, scettico) è il nome della cittadina francese immaginaria dove viene stampato il periodico “The French Dispatch”, ispirato alla rivista “New Yorker” di cui Wes Anderson è un appassionato lettore.
Il regista, che è anche sceneggiatore del film assieme a Jason Schwartzman (uno dei suoi attori-feticcio), Hugo Guinnes e Roman Coppola, ha definito così il suo film: «Una lettera d’amore nei confronti dei giornalisti, ambientata nella sede di una rivista americana in una città francese del XX secolo».
Le vicende del film si svolgono nel Novecento e sono un tributo a un certo modo (dimenticato) di fare giornalismo-inchiesta alla onesta ricerca della verità e con un gioco di squadra.
In realtà la città è Angoulême, un comune francese di poco più di 40.000 abitanti nella regione della Nuova Aquitania, situato alla confluenza tra i fiumi Charente e La Touvre, e sede di un rinomato festival del fumetto.
Al momento della morte dello storico direttore del giornale Arthur Howitzer Jr. (interpretato da Bill Murray) e in occasione della sua chiusura, vengono narrati tre episodi di tre diversi redattori, prestigiose firme di rubriche fisse.
Una giornalista intellettuale (Tilda Swinton) racconta la complicata storia di Moses Rosenthaler (Benicio Del Toro), un ebreo messicano omicida che finisce in prigione e si salva grazie alla pittura e alla complicità di una secondina (Léa Seydoux) che posa nuda per lui e dell’art dealer Julien Cadazio (Adrien Brody). La storia è basata sul mercante d’arte Lord Duveen descritta in The Days of Duveen, in sei parti del “New Yorker
Il secondo episodio è ispirato all’articolo di Mavis Gallant The Events in May: A Paris Notebook pubblicato sempre nella stessa rivista. Lucinda Krementz (Frances McDormand) è una giornalista intelligente, incline a portare la propria soggettività nella scrittura non del tutto neutrale, che delinea un ritratto della rivolta studentesca di Ennui, focalizzando l’attenzione sul giovane leader (Timothée Chalamet) e sulla sua vita.
Roebuck Wright (Jeffrey Wright) critico di gastronomia ispirato a James Baldwin narra come, intervistando Lt. Nescaffier, cuoco (Steve Park) di origini coreane ma anche poliziotto, si sia trovato coinvolto in una vicenda di rapimento del figlio del Commissario di polizia (Mathieu Amalric).
L’inizio del film introduce gli spettatori alla cittadina e offre un po’ di informazioni su come il caporedattore sia arrivato a fondare tale pubblicazione, che cura storie urbane per ognuna delle sue sezioni: arti e artisti, politica/poesia, sapori e odori. L’epilogo ci riporta all’incipit, racconta la morte del direttore che è disteso su una barella, mentre i redattori discutono attorno a lui sul necrologio collettivo, mangiando una fetta di torta, quasi una festa, come spesso avviene nei funerali non cattolici.
Anderson inserisce icone e simboli dalla forte valenza pittorica, e i personaggi sono come figurine animate – un approccio simile a quello di “Hugo Cabret” di Martin Scorsese – e come spesso ha fatto nei suoi film precedenti (Grand Budapest Hotel). Il film presenta un’estetica avvolgente, una bizzarra grafica fantasiosa, che rimanda al modellismo, a disegni e a quadri pittorici. Nelle scene iniziali, è palese il riferimento formale al cinema di Jacques Tati, andando avanti si trovano riferimenti alla nouvelle vague (come la storia tra Frances McDormand e Timothée Chalamet) e al cinema di Jean-Pierre Melville e di Jean Renoir.
Iniziato nel 2018 “The French Dispatch” è stato presentato al Film Festival di Cannes a luglio del 2021, ricevendo recensioni positive da parte della critica, ed elogi per la scenografia e per le performances.
L’unico neo del film, a mio avviso, sta nel fatto che è talmente denso e con un montaggio così veloce, che bisogna vederlo sicuramente una seconda volta per apprezzarlo in pieno.

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