Suona un po’ troppo antica, nel senso di logorata, l’“amara” scoperta che non ci sono ministre dem o della sinistra (che tuttavia, intesa nel senso di Sinistra italiana e Articolo1 è presa adesso dalla sua nuova divisione) nel governo Draghi.
Non varrebbe la pena di parlarne se non fosse che, magari, le donne potrebbero cercare altre strategie, visto che quelle della parità, del 50 e 50 per non parlare delle quote, offrono illusori risultati alla loro affermazione, anzi, tendono a ricordargli che restano delle intruse nel gioco del potere. Strategie dunque legate alla faccia buona del potere, modellato su una ragnatela di proposte, progetti, idee che molto devono alla politica del femminismo, a una sua esigenza di cambiamento del potere.
Perlomeno dai tempi di Palmiro Togliatti e poi dell’Udi e di Enrico Berlinguer e quindi della Carta delle donne di Livia Turco si ripresenta la cosiddetta “questione femminile”.
Ogni volta però le donne ricadono mani e piedi legate nelle sabbie mobili della rappresentanza (che già di per sé non sembra godere di buona salute).
Le nostre madri emancipazioniste erano riuscite a tessere delle filiere interne femminili (traduzione odierna: fare squadra) per migliorare una condizione intessuta di ingiustizia e di imposizioni; sarebbe, in quest’anno di lutti, il momento di osservare il cataclisma che ci è piombato addosso riprendendo le figure della violenza, della ferocia, dello sfruttamento che si accaniscono su tanti soggetti di un Paese in sofferenza per la distruzione operata dal coronavirus.
In passato, tra le cause delle difficoltà, delle fatiche che azzoppavano la presenza femminile nella politica veniva indicata con più di una ragione l’arretratezza italiana; la famiglia; la religione; il patriarcato. Adesso però nel Pd a sfavorirle sarebbero le correnti.
A parte che le stesse che indicano nelle correnti la causa delle loro disgrazie generalmente vi stanno aggrappate come ostriche, fare del Pd un partito senza correnti significherebbe trasformarlo in una specie di Cavaliere inesistente.
Nato e cresciuto da un coacervo di ambizioni governiste, dimentico di una qualsiasi storia, si riesce con difficoltà a rintracciarvi i fili delle diverse culture politiche: socialista, liberale, cattolica.
Le correnti ritraggono una spartizione di posti di potere, di distribuzione delle cariche.
Magari sbagliamo. Ammettiamo che la corrente zingarettiana, franceschiniana, ex renziana coltivi progetti da Città del Sole, allora perché le donne che vi partecipano non rivendicano questi meravigliosi progetti, invece di negare di farne parte?
Delle due l’una: o ti consideri defraudata di un posto nella compagine governativa perché non sai metterti in sintonia con quei meccanismi e ti ribelli, oppure contribuisci a cambiare quella corrente, a segnarla con la cultura, sapienza, pragmatismo femminile.
C’è anche la possibilità che queste donne si vergognino di avere un leader, capo, boss di sesso maschile. Tuttavia i partiti, fino a prova contraria, non sono un racconto di Murakami Haruki “Uomini senza donne”. A meno che non siano plasmati su uomini che odiano le donne. In questo caso, meglio scappare a gambe levate.
Magari, a gettare in confusione è la stucchevole vicenda del cinquanta per cento di rappresentanza femminile. Anche qui, potremmo cadere in errore, ma puntare genericamente sul proprio sesso (quando poi a decidere sono sempre dei maschi, almeno da quando sono scomparse le responsabili femminili del tipo Adriana Seroni che lottavano con le unghie e con i denti per la promozione di tante) non finisce per svalorizzare le competenze, le qualità individuali?
Partite con un segno più (non sei più tu che mi interpreti e che decidi quello che va bene per me), le donne rischiano di arrivare con un segno meno. Nella destra, Forza Italia non ha avuto remore a puntare su due donne su tre per la sua delegazione nel governo Draghi.
Per questo, secondo noi è arrivato il tempo di cambiare strategia. Con una rete di buone relazioni femminili alle spalle (sperando che esistano), operando degli scarti, cercando di legarsi a uomini che hanno interesse per lo scambio. E non per una carica (la propria).