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In una parola / Artiste di un’altra epoca

6 Ottobre 2020
di Alberto Leiss

Marianne von Martinez

Pubblicato sul manifesto il 29 settembre 2020 –

Un ricordo di Rossana Rossanda, conosciuta molti anni fa, quando mi capitò di proporre per la prima volte qualche articolo – in varie occasioni firmato insieme a Letizia Paolozzi – a questo giornale. Grazie a Rossanda e a chi la ascoltava, il manifesto aveva su diversi argomenti, ma soprattutto – ai miei occhi – su quello della giustizia e del necessario garantismo di fronte alle inchieste di Tangentopoli, un atteggiamento molto più aperto dell’Unità, dove lavoravo. Era già accaduto in un tempo più remoto, quando la repressione contro il terrorismo “rosso”, o supposto tale, travalicava i principi di uno Stato di diritto. E così fu quando tanti politici e giornalisti vedevano nella “rivoluzione” giudiziaria contro quella che sarebbe stata definita “casta” una palingenesi capace di aprire chissà quali magnifiche sorti al paese.
Si è visto dove stava la ragione.
Di Rossanda mi affascinava la elegante signorilità che univa al radicalismo (nel senso marxiano di andare alla radice delle cose, degli uomini e delle donne). Della sua autobiografia mi è rimasto impresso, tra molti passaggi, il racconto di una visita nell’Unione sovietica, dove allo sconcerto per la sparizione dei capolavori delle avanguardie artistiche della rivoluzione si univa il divertimento di confondere gli impettiti compagni in divisa militare, a teatro, con il décolleté del vestito da sera.
Volevo parlare in questa rubrica di un concerto ascoltato – sia pure in streaming – la sera di domenica 20 e dedicato ad alcune poco note compositrici del ‘700. Credo non sia stravagante mantenere il proposito.
Artiste che in un momento storico molto più difficile per le donne di quello che viviamo, non vollero rinunciare alla signoria sulle proprie vite, considerate nel loro ambiente “eccedenti”. Ne ha parlato, eseguendo poi alcune composizioni ora virtuosisticamente brillanti, ora intensamente malinconiche, la pianista Orietta Caianiello.
Marianne von Martinez, che conobbe Haydn, Mozart e Metastasio, compositrice di opere e di musica sacra oltre che di sonate per tastiera, prima donna ammessa, nel 1773, all’Accademia filarmonica di Bologna diretta da Padre Martini.
Josepha von Auernhammer, una delle allieve predilette di Mozart (nonostante ne parlasse in modo sconveniente al padre, per fugare i suoi sospetti di una loro relazione…) alla quale dedicò sonate per violino e pianoforte: insieme a lei eseguì la splendida sonata per due pianoforti. Josepha proseguì la carriera concertistica col proprio cognome, pur essendosi sposata, cosa abbastanza eccezionale per l’epoca.
Infine Juliane Reichardt, che visse solo 31 anni, figlia di Franz Benda, importante compositore alla corte di Federico II. In questo caso il legame con il marito Friederich Reichardt, anche lui scrittore e musicista – la cui carriera fu favorita dal padre di Juliane – non giovò molto alla giovane pianista, morta poi per una complicazione al suo terzo parto. Oggi è difficile rintracciare le sue musiche, oltre che ascoltarle.
Occasione interessante dunque il concerto con Orietta Caianello, che ha fatto della rivalutazione delle compositrici “rimosse” dalla storia della musica una cifra incisiva della sua attività.
Si può riascoltare sul sito dell’associazione “Resonnance” (https://resonnance.it/al-femminile.html), realtà da conoscere e sostenere perché da anni si dedica a diffondere la buona musica “anche nei luoghi in cui è più difficile ascoltarla”. Vale a dire le carceri, o le “case di riposo” dove vivono in eccessivo isolamento – abbiamo visto con quali tragiche conseguenze in questi mesi di pandemia – le persone più fragili e anziane.

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