Anima / Corpo

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Come inventare gesti comuni di cura?

24 Marzo 2020
di Letizia Paolozzi

La scena del Covid19 è affollata di protagonisti. Sì, ci sono le paure, le ansie, le ossessioni ma anche l’attaccamento alle abitudini, la disperata volontà di non strapparsene (dalla corsa; dall’allenamento alla maratona; dai cinquemila passi quotidiani).
Tra le abitudini c’è la socialità che ha finito per allargare velocemente l’infezione estendendola per via della partecipazione alle feste religiose, alle processioni per il patrono, all’appuntamento di carnevale, all’evento sportivo nel quale in tanti hanno assistito insieme, allo stadio o seduti ai tavolini del bar. No, la Cina non era vicina. Nessuno, tranne qualche virologo inascoltato, prevedeva il pericolo.
In fatto di socialità per via della passione di rendere indimenticabili le ricorrenze, il governatore della Campania, il prode Vincenzo De Luca, ha dovuto minacciare di intervenire “con il lanciafiamme” nei locali affittati da chi voleva segnalare agli amici, ai parenti la sua laurea.
Linguaggio bellicoso, aggressivo?
Adesso i ragazzi, per celebrare l’evento, benché si tratti di una soluzione di ripiego – in assenza della fisicità e con una smaterializzazione dei corpi – si incontrano attraverso la app di Houseparty o Zoom o Google Duo.
Altro rappresentante delle istituzioni, Antonio Tutolo, sindaco di Lucera, in provincia di Foggia, ha optato per un diverso spartito. Su “Propaganda Live” sono stati diffusi i suoi rimproveri alle compaesane per le quali “tirarsi i peli sulle gambe è una cosa necessaria”. Si fosse in agosto, non potevano presentarsi da King Kong sulla spiaggia. Ma a marzo perché mai frequentare la spiaggia?
Sempre Tutolo, rivolto all’uomo che non resiste a casa con la “mugliera”, ha detto (via web): Bada, ho letto una statistica e muoiono tre volte i maschi delle femmine dunque sarai pure “fatto contento” se ‘a mugliera ti manda “accattà ‘a spesa, poi l’accendino, poi le patate” ma non capisci che t’ha fregato. Non ci andare più, “manda a issa” che muore tre volte in meno.
Con il sindaco di Lucera le parole sono più vicine alla realtà, risuonano come il linguaggio della materialità, della concretezza.
E’ questo un momento di rischi inediti nel quale non basta fare ciò che è necessario per convincere e non per costringere a obbedire, perché ognuno e tutti si diano una qualche autodisciplina.
In passato, si lanciavano maledizioni contro chi veniva considerato deviante, anormale, diverso, infetto. La comunità lo espelleva, lo ostracizzava, lo perseguitava per allontanare la minaccia e ricevere in cambio una qualche garanzia di protezione.
Adesso il sindaco di Lucera prova la corda confidenziale e il governatore della Campania quella dell’esercito. Ma noi che siamo in ballo e che dobbiamo mettere in campo responsabilità individuale e attenzione agli altri mentre è saltato il rapporto concreto della gente nelle chiese, nei luoghi collettivi, quelli pubblici e quelli privati, e almeno temporaneamente sembra compromesso il nesso simbolico con la rappresentanza (le Camere che non funzionano; il premier che comunica agli italiani il contenuto dell’ultimo decreto su Face Book; i consigli comunali che si riuniscono via web), abbiamo un altro problema.
Come riannodiamo il legame sociale in questo momento messo in pericolo?
Andrebbero inventati riti collettivi al posto di quelli, perlomeno momentaneamente, vietati. Ricordare collettivamente con un suono, con una luce, chi scompare e non ha nessuno che lo possa accompagnare: potrebbe rivelarsi un gesto di cura, assieme a quello dei medici, degli infermieri, nel quale sentirsi una comunità. Che non rinuncia a vivere, a cantare dai balconi, e non dimentica chi si è accomiatato.

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