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Microcritiche / Roadmovie di un bianco tra i neri

22 Gennaio 2020
di Letizia Paolozzi

Tolo Tolo – Film di Luca Medici (Checco Zalone) con Checco Zalone, Souleymane Silla, Manda Touré sceneggiatura Checco Zalone e Paolo Virzì. Musiche Luca Medici (Checco Zalone), produzione Taodue Film, distribuzione Medusa Film –

Inizio scoppiettante: Checco Zalone apre il ristorante “Sushi e Murge”. D’altronde, a Spinazzola in Puglia mica puoi rinunciare al riso e cozze, ai lampascioni da mangiare con bacchette platinate. Risultato fallimentare. Inseguito da Irap, Ires, Iva; maledetto dall’ex moglie e parenti vari (lo zio interpretato da Nicola Di Bari), il nostro non ha che una strada: fuggire in Africa.
E dall’Africa, cameriere in un resort del genere Billionaire, comincia il viaggio all’indietro costretto da una guerra locale a tornare questa volta su un autobus carico di corpi neri. Deserto, arresto in Libia, traversata del mar Mediterraneo. Accanto agli ultimi, tra quei disperati che ha sempre evitato. E qui, per allontanarsi da una realtà che non vorrebbe vedere, Zalone assume pose mussoliniane. In fondo in ognuno si nasconde un virus, un batterio, una infezione “come con la candida”.
Lo accompagna nel roadmovie l’ascesa di un altro tipo d’italiano che “fa carriera come Di Maio, l’ho vestito come Conte e parla come Salvini”. E’ Luigi Gramigna, prima disoccupato poi vigile urbano, ufficiale dei pignoramenti, assessore comunale, ministro degli Esteri (“Non è colpa mia se siete nati in Africa”), presidente del Consiglio, capo della Commissione europea.
In “Tolo Tolo”, storpiatura di quel “solo solo” pronunciato dal ragazzino africano in cerca del padre, nuova è la regia assunta dallo stesso Zalone (che si firma con il nome di battesimo Luca Medici), nuovi i siparietti pedagogici affidati a canzoni e balletti nonché lo sguardo di Paolo Virzì chiamato a spalleggiare il regista. E nuovo è l’abbandono del qualunquismo un po’ gaglioffo come arte di arrangiarsi dei suoi precedenti film per una ironia “politicamente scorretta”.
Così la comicità anche antipatica e “pane al pane” viene messa al servizio del drammatico problema dell’emigrazione descrivendo quel meccanismo che consiste nell’esportare il pericolo e collocarlo sulle spalle dello straniero. Sono ingredienti complicati da maneggiare ma il pubblico ha risposto bene. Non si è voltato dall’altra parte. Corona l’opera un medaglione di Vendola nella parte di se stesso, che fa il verso alle mai dimenticate “narrazioni”.

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