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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

In una parola / Il crimine nel tempo del capitale

23 Giugno 2019
di Alberto Leiss

Pubblicato sul manifesto il 18 giugno 2019 –

Non si sa se indignarsi di più per un ministro dell’Interno che giudica la Libia un posto “sicuro” per gli esseri umani che ne scappano rischiando la vita dopo avervi patito torture orribili, o per la sicumera con cui Di Maio e Crimi avversano una esperienza preziosa per la democrazia come Radio Radicale (e altre forme di informazione indipendente). Ovviamente il cinismo sulla vita e la morte di persone fatte oggetto di propaganda politica è una cosa peggiore. Ma c’è qualcosa di insopportabile anche in questo inneggiare al “mercato” nel caso dell’informazione (che mera merce non dovrebbe essere, e infatti un conto è finanziarsi con la pubblicità commerciale, un altro è non farlo) e contemporaneamente schierare aziende pubbliche nella gestione di imprese come Alitalia o altro. (Ipocrisia poi al massimo quando tutti sgomitano nella Rai finanziata dal popolo con tassa obbligatoria…).
Ma vorrei parlare di qualcos’altro, e la premessa mi è utile per segnalare che proprio su Radio Radicale si può approfondire l’argomento cercando la registrazione del seminario organizzato il 12 giugno da Crs (Centro per la riforma dello stato) e Ars (Associazione per il rinnovamento della sinistra) con il titolo Crimine capitale.
Qual è oggi la realtà delle mafie in Italia?
Da quanto detto da persone tra le più esperte sul tema (da Pietro Grasso a Francesco Forgione, alla magistrata Giuliana Merola, a Enzo Ciconte, Isaia Sales, alle giornaliste Graziella di Mambro e Floriana Bulfon, e ancora Franco La Torre e Alfonso Gianni) sappiamo che la sconfitta dei reparti più aggressivi della mafia siciliana – i Corleonesi – non può nascondere che altre mafie, in particolare la Ndrangheta calabrese, hanno negli ultimi decenni colonizzato capillarmente le regioni più “sviluppate” del paese, Emilia, Lombardia, Veneto, senza escludere Piemonte e Liguria.
Si tratta di un vero e proprio “modello di successo economico-criminale” (Forgione) che alimenta quote importanti del Pil e che si destreggia abilmente tra mercato legale e mercato illegale.
Venuta meno la vecchia mediazione del sistema politico nazionale, l’articolazione territoriale delle “ndrine” diventa una rete di fatto accettata come fonte di “servizi” da settori non trascurabili del “capitalismo molecolare” italiano.
Se non sono mancate le citazioni di Marx e Rosa Luxemburg (Isaia Sales, Alfonso Gianni) – il capitale non smette mai di favorire la propria accumulazione anche con mezzi “predatori” – il nesso intimo tra modello economico e finanziario dominante e supposti arcaismi criminali è stato certificato dall’esperienza di Pietro Grasso e di Giuliana Merola, sentenze definitive alla mano.
Il discorso è poi andato alle norme – non tutte efficienti quanto desiderabile – della legislazione vigente, e a certe scelte del governo pesantemente criticate, a cominciare dal cosiddetto “sbloccacantieri” .
Ma una certa inquietudine suscitano anche alcune battute del ministro degli Interni di cui sopra, quando minaccia per esempio di togliere la scorta a tizio o caio (Franco Mirabelli): l’allarme “sicurezza” è poi tutto rivolto a immigrati, scippatori, rapinatori, mentre la penetrazione criminale nell’economia, molto più sostanziosa e pericolosa, non fa notizia e non impaurisce perché la violenza – minacciata quando serve – non viene quasi mai esercitata.
La sinistra in tutte le sue varie declinazioni – pur disponendo di qualificate competenze – troppo poco si è impegnata a capire e combattere questi modernissimi fenomeni. Un altro dei non pochi motivi – ha osservato Aldo Tortorella chiudendo il confronto aperto da Vincenzo Vita e Bianca Pomeranzi – del suo declino.

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