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Microcritiche / Suffragio universale e violenza (Manchester, 1819)

16 Aprile 2019
di Letizia Paolozzi

PETERLOO – Film scritto e diretto da Mike Leigh con Rory Kinnear, Maxine Peake e Neil Beil, prodotto dagli Amazon Studios, Gran Bretagna, 2018 –

Il 16 agosto 1819, una calda giornata, venendo a piedi dalla città e dai dintorni, in abito da festa uomini, donne, bambini si riuniscono nella piazza di Manchester (St Peter’s Field) per chiedere di contare di più. Sono passati quattro anni dalla battaglia di Waterloo. Sessantamila persone pretendono di essere rappresentate, ascoltate dalle autorità inglesi: dal governo, dal Reggente (quel “principe grasso” che sarebbe diventato Re Giorgio IV), dai proprietari terrieri che fanno muro, dal clero, dai magistrati che gli tengono bordone.
I sessantamila lottano per i loro diritti, contro una condizione insopportabile di miseria. L’infamia di nascere poveri a Manchester dove “masse di immondizie, rifiuti e melma nauseabonda sono sparse dappertutto, in mezzo a pozzanghere; l’atmosfera è ammorbate dalle loro esalazioni e oscurata e appesantita da una dozzina di ciminiere; orde di donne e di bambini laceri si aggirano nei pressi, sudici come i maiali sguazzanti tra mucchi di immondizie e nelle pozzanghere… “ (Friedrich Engels “La situazione della classe operaia in Inghilterra”) deve per forza prevedere una possibile redenzione.
C’è rabbia sociale determinata dalle Corn Laws (le leggi sui cereali): impossibile acquistare il grano straniero a basso costo, il pane costa troppo.
Dall’altra parte, i proprietari delle fabbriche tessili difendono se stessi, i privilegi, la proprietà. Temono che si ripeta, venti anni dopo il 1789, al di qua della Manica, la presa della Bastiglia.
Un esercito di mille uomini, compresi Ussari e fanteria, si buttano sulla folla. Colpiscono con sciabole affilate; chiudono le vie di fuga. I morti sono quindici e seicento i feriti.
Non si attarda sulla violenza Mike Leigh poiché sa quanto la corteggino i vari odierni populismi; teme l’enfasi e la retorica della Brexit e dei sovranismi.
Questo non significa che il raduno di Peterloo (nome nato dalla fusione tra St Peter’s Field e Waterloo) non abbia rappresentato una data terribile, se pure taciuta dai libri di storia. Al tempo stesso, quella data ha fatto avanzare la democrazia che non andrebbe ridotta in macerie, dice il regista, ma riformata.
Ecco la comunità dei deboli e quella dei forti, gli operai delle industrie tessili e il ceto degli arroganti. Il desiderio di essere rappresentati con giustizia alla Camera dei Comuni si affida al discorso infuocato dell’ “Oratore” Hunt, proprietario terriero convinto della necessità di riforme radicali.
Gli si contrappone il discorso dei vanagloriosi, degli arroganti affidato al giudice che condanna per una sciocchezza il miserabile a scontare la pena in Australia.
Sarà Hunt a salire sul palco in quella calda giornata, sarà lui a vietare che si portino bastoni e coltelli per l’autodifesa, lui insieme agli altri sul palco ad essere arrestati.
La scommessa e la necessità della parola si trasforma in scrittura e la scrittura è utile per ricordare. Infatti i giornalisti presenti: del progressista e radicale “Manchester Observer”, del conservatore “Times” di Londra, diffonderanno la memoria del “massacro di Peterloo”. La nascita di un foglio come “The Guardian” avrà lì le sue radici.
Si potrebbe supporre che il film, una vicenda di giustizia, di potere, di sangue, abbia esclusivamente protagonisti maschili. Non è così. Le donne hanno un peso in “Peterloo”. Si riuniscono nella Manchester female reform society; non sono respinte sul fondo della scena. Vivono platealmente la contraddizione tra il non fidarsi delle montagne di parole che sentono pronunciare dai mariti, fratelli, figli e la decisione di partecipare alla sorte di quegli uomini.
Quanto alle immagini, Mike Leigh riprende “il metodo” del suo film “Turner” e la vicenda si snoda attraverso una serie di quadri: è in questo modo che, esponendo una storia, ce la riconsegna per farla diventare la nostra storia.

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