I VILLEGGIANTI – Film di Valeria Bruni Tedeschi. Con Valeria Bruni Tedeschi, Valeria Golino, Marisa Borini, Gigi Borini, Riccardo Scamarcio, Pierre Arditi, Yolande Moreau, Bruno Raffaelli, Laurent Stocker, Francia Italia 2018. Musica di Philippe Miller-
“Les estivants”, in originale, è un film autobiografico dell’attrice Valeria Bruni Tedeschi, qui anche regista e sceneggiatrice assieme a Noémie Lvovsky e Agnés de Sacy.
Una panoramica su tre generazioni di una famiglia allargata e agiata, dove un fratello è morto di AIDS da poco e una sorella (Valeria Golino) ha sposato un ricchissimo industriale poi caduto in disgrazia (forse è la storia di suo padre Alberto Bruni Tedeschi). Tutto si svolge in un mondo ovattato passato prevalentemente a tavola nel giardino di una bellissima villa in Costa Azzurra. Ma quanti film francesi abbiamo visto nelle ville di vacanza? Da quelli più esistenzialisti come “La piscina” di Jacques Deray del 1969 con Alain Delon, Romy Schneider, Jane Birkin e Maurice Ronet, alle commedie brillanti come “Un momento di follia” di Jean-François Richet del 2016, remake della commedia omonima di Claude Berri, con Vincent Cassel, François Cluzet e Lola de Lann (lì erano in vacanza in Corsica). Valeria Bruni Tedeschi offre il suo contributo alla rappresentazione della borghesia decadente, sul modello del cinema di Claude Chabrol.
La regista/attrice articola la sua storia, come in una pièce teatrale, memore di villeggiature raccontate sia dal nostro Goldoni sia dai russi Cechov e Gorkij. Diviso in tre atti, più un prologo e un epilogo, il film inizia a Parigi dove, prima di incontrare la commissione finanziatrice del film che sta scrivendo, Anna (interpretata dalla stessa Valeria Bruni Tedeschi) sarà lasciata da Luca, il suo fidanzato bello e molto più giovane, interpretato da Riccardo Scamarcio, che dovrebbe raffigurare Louis Garrel, per diversi anni suo ex compagno nella vita. La non accettazione di quest’abbandono sarà il leitmotiv di tutto il film che farà vivere Anna in una sorta di alienazione da tutto ciò che le accade intorno.
“I villeggianti” è un film corale che si svolge in un milieu di ricca borghesia, dove ognuno ha una sua storia: ai piani alti i “padroni”, ai piani bassi la servitù. Nascono intrighi, amori, abbandoni, in un microcosmo isolato dal mondo, lontano dalla realtà, fuori della storia. L’unica minaccia esterna è rappresentata dai cinghiali, che non si riescono ad arginare neanche costruendo barriere organiche.
Anna sta per girare questo film autobiografico, dove parla anche della malattia del fratello – morto realmente di AIDS nel 2006 – che però aveva lasciato scritto nelle sue volontà testamentarie il desiderio che non se ne parlasse affatto. Realtà e finzione si confondono continuamente, sottolineate anche dall’utilizzo di persone reali al posto degli attori professionisti. Marisa Borini (la mamma di Valeria Bruni Tedeschi identica alla figlia Carla, peraltro) interpreta la parte della mamma di Anna, una pianista e accompagnatrice di cantanti lirici (le arie de “Il flauto magico” sono una presenza costante), la zia è interpretata da Gigi Borini sorella della madre, la figlia adottiva nera è interpretata da Celine Garrel, la bambina africana adottata da Valeria Bruni Tedeschi e Louis Garrel. La co-sceneggiatrice Noémie Lvovsky interpreta se stessa nel suo stesso ruolo.
“I villeggianti” vorrebbe costituire uno sguardo ironico su quel tipo di mondo, ma manca, a mio avviso, del lato comico, infatti, neanche le situazioni più buffe fanno ridere, qua e là si sorride appena, mentre il film verso la metà diventa piuttosto noioso.
Questo è il quarto lungometraggio girato da Valeria Bruni Tedeschi, tutti in qualche misura autobiografici. La vita privilegiata della borghesia agiata da cui la regista proviene e cui è ancora legata, forse non interessa più il pubblico attuale, preso da così tanti problemi di sopravvivenza, di esplosione di fanatismi religiosi, di minacce sovraniste e di neo-razzismi. Tanto è vero che il film, presentato fuori concorso alla 75ma edizione della Mostra di Venezia, oltre ad essere ambizioso risulta troppo autoreferenziale e un po’ datato.
Valeria è piuttosto brava: ha vinto quattro premi Donatello come attrice protagonista (“La seconda volta” nel 1996, “La parola amore esiste” nel 1998, “Il capitale umano” nel 2014 e “La pazza gioia” nel 2017) e un Premio César per la migliore promessa femminile (“Le persone non hanno niente di eccezionale” nel 1994), penso pertanto che farebbe meglio a concentrarsi sull’interpretare ruoli – molto spesso di donne fragili e tormentate – piuttosto che crearli.