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Microcritiche / Razzismo a suon di musica negli Usa dei ’60

10 Febbraio 2019
di Ghisi Grütter

GREEN BOOK – Film di Peter Farrelly. Con Viggo Mortensen, Mahershala Ali, Linda Cardellini, Sebastian Maniscalco, P.J. Byrne, Dimeter D. Marinov, Don Starck, Brian Stepanek, Iqbal Theba, Tom Virtue, Ricky Muse, Joe Cortese, USA 2018. Sceneggiatura di Peter Farrelly con Nick Vallelonga e Brian Currie. Musiche originali di Kris Browers –

Se non sapessi che “Green Book” è tratto da una storia vera, lo considererei un feel-good-movie. Sembra, però, che la famiglia Shirley abbia sostenuto che la storia dell’amicizia tra Tony (Viggo Mortensen) e Doc (Mahershala Ali) sia tutta un’invenzione, definendola addirittura “una sinfonia di menzogne”.
Doc Shirley dunque, è realmente vissuto ed è stato un bravissimo pianista talentuoso che aveva studiato al conservatorio di Leningrado (oggi San Pietroburgo) e che, pur avendo un repertorio di musica classica – esattamente come Nina Simone -, ha dovuto ripiegare su un genere più popolare perché negli Stati Uniti dell’epoca non c’era spazio per concertisti neri.
Ma vediamo qual è la storia. Siamo nel 1962, tre anni prima dell’abrogazione delle leggi segregazioniste in vigore negli Stati ex-Confederati. Frank Anthony Vallelonga, detto Tony “Lip”, è un buttafuori di Copacabana, un locale di Manhattan, ma ha perso il posto, dopo dodici anni cerca lavoro. Gli viene offerto un posto di autista per un famoso pianista nero. Tony è un ragazzo semplice, un uomo un po’ rozzo che viene dal quartiere italo-americano del Bronx, è pieno di pregiudizi “per sentito dire”, compresa un’avversione nei confronti dei neri. Ma la carenza di prospettive alternative e il salario allettante ($125 alla settimana) farà sì che diventi l’improbabile chauffeur di Doc (e anche la sua guardia del corpo) nella tournée del Don Shirley trio: un pianoforte (solo Steinway però…) accompagnato da un violoncello e un contrabbasso, suonati da musicisti russi.
Tony accetterà, quindi, l’offerta e partirà per due mesi in tournée. Passeranno dalla Pennsylvania attraversando l’Ohio, l’Indiana e il Kentucky giù per il Tennessee fino al profondo Sud nel Mississippi e in Alabama. Sarà un continuo e divertente scambio di battute tra i due: tanto rozzo e ignorante il bianco, quanto intellettuale e apparentemente snob il nero, finiranno per incontrarsi a metà strada. Doc insegnerà ad avere un po’ di grazia a Tony e lo aiuterà anche a scrivere le lettere alla moglie, mentre Tony favorirà l’impalato Doc a sciogliersi un po’ e ad amare le piccole cose, come ad esempio mangiare un autentico Kentucky Fried Chicken con le mani buttando le ossa rosicchiate fuori dal finestrino dell’automobile (una Cadillac, of course…).
E cos’è il Green Book? Il Negro Motorist Green Book è una guida turistica degli anni ’60 (uscì dal 1936 al 1966) con le informazioni di tutti gli alberghi, i ristoranti, le stazioni di servizio ecc., dove possono andare i neri senza rischiare rappresaglie da parte dei bianchi.
Nonostante il film sia così appagante e nonostante molte scene siano piuttosto prevedibili – gli americani lo chiamano un crowd pleaser – il film è godibilissimo. Ha un bel ritmo, alterna scene tristi a scene allegre, e presenta delle ottime ricostruzioni d’epoca. La recitazione dei due protagonisti è veramente strepitosa: Mahershala Ali ha preso lezioni di pianoforte per meglio interpretare Doc, mentre Viggo Mortensen, per prepararsi in modo minuzioso a interpretare la parte di Tony, è ingrassato di 15 chili e ha trascorso diversi giorni con la famiglia Vallelonga, finendo per immedesimarsi nel loro modo italo-americano di parlare e gesticolare. Consiglio tutti pertanto di vedere il film in versione originale per apprezzarne la recitazione. Ma soprattutto, il film ha una splendida colonna musicale, che qualcuno ha definito come terza protagonista del film. I brani originali scritti dal compositore trentenne afro-americano Kris Browers suonati da Donald Walbridge Shirley (il vero nome anagrafico di Doc), si alternano a quelli che accompagnano tutto il viaggio cross country dei due protagonisti: Little Richard, The Blackwells, Roosevelt Nettles, Steve Gray, Aretha Franklin, Chubby Checker e così via. Un immancabile pezzo di Chopin (che Tony chiama Joe Pen) suonato magistralmente da Doc Shirley in un all back bar, si trasformerà in una jam session.
Molti cineasti probabilmente si concentrano nell’epoca della fine degli anni ’50 o inizio dei ’60 per non affrontare quelli di oggi che presentano un’incredibile involuzione. “Green Book”, infatti, fa parte di quella serie di film – come “Il diritto di contare” (forse non a caso Olivia Spencer è tra i produttori) di Theodore Melfi del 2016, “The Help” di Tate Taylor del 2011, o anche “I Lovings” di Jeff Nichols del 2016 – che ripercorrono gli quegli anni mostrandone il razzismo, incomprensibile e irrazionale. È inspiegabile che un pianista nero possa intrattenere 400 persone con la musica, ma non che possa mangiare nello stesso ristorante degli spettatori, oppure che possa stringere le mani delle persone più importanti dopo aver suonato, ma non possa usare la loro stessa toilette e sia costretto ad andare in un “cessetto” di legno, fuori vicino a un pino. La tournée si interromperà in Alabama proprio a Birmingham, dove Nat King Cole pochi anni prima fu aggredito e picchiato sul palco. E sarà proprio lì che la solitudine di Doc, ben intuita da Tony, troverà uno sfogo in un monologo toccante: «Sì, io vivo in un castello e sono colto, e i ricchi bianchi pagano per sentirmi suonare e sentirsi colti. Ma appena scendo dal palco torno a essere soltanto un altro negro, perché è questa la loro vera cultura. E soffro da solo perché la gente non mi accetta, perché non sono come loro, perché sono più in alto di loro. E soffro da solo perchè la mia gente non mi accoglie perché non sono nemmeno come loro. E quindi cosa sono io? Sono bianco o sono nero? Sono un uomo o che cosa?» così esclama Shirley fra le lacrime e sotto una fitta pioggia.
Vari sono i film in cui duettano due rivali che, alla fine, diventano amici. Basta citare “A spasso con Daisy” di Bruce Beresford di trent’anni fa, con Jessica Tendy e Morgan Freeman – e “Quasi amici” di Oliver Nakache del 2011, con François Cluzet e Omar Sky –per capire che “Green Book” si inserisce a pieno titolo in questo genere. Il regista Peter Farrelly si era già inventato un filone di commedia demenziale – insieme al fratello Bobby – come ad esempio “Scemo & più scemo” del 1994, “Tutti pazzi per Mary” del 1998 o anche “Amore a prima svista” del 2001, mostra in questa ultima regia di cimentarsi piuttosto bene in una commedia drammatica.
Green Book” ha già ottenuto tre premi ai Golden Globe: quello per la miglior commedia, a Mahershala Ali quello per il migliore attore non protagonista, a Peter Farrelly, Brian Currie e Nick Vallelonga il riconoscimento per la miglior sceneggiatura, ed è candidato a 5 premi Oscar 2019.

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