ARRIVEDERCI SAIGON – Film di Wilma Labate. Con Rossella Canaccini, Viviana Tocchella, Daniela Santerini e Franca Deni. Italia 2018. Fotografia di Daniele Ciprì, montaggio di Mario Marrone, musica di Mattia Carratello e Stefano Ratchev –
La storia di cinque giovani donne non sottomesse
di Letizia Paolozzi
Una storia di giovani donne non sottomesse. Nel 1968. Non pensate però che la vicenda corra lungo la sponda del femminismo radicale o del separatismo. Procede controvento “Arrivederci Saigon”. Un film (di Wilma Labate con l’indispensabile assistenza del montatore Mario Marrone) con le assonanze di un documentario (di cui ha scritto qui anche Ghisi Grutter) che si regge su immagini collettive ma, contemporaneamente, su vicende individuali.
Una sorta di manifesto contro l’ideologia. Ideologia di sinistra, di destra; dei democratici e dei repubblicani Usa; dei bianchi e dei neri; della paura e del coraggio. Distruzione leggera, ironica di quella favola dogmatica per cui il vero, il giusto, il buono sta da una parte sola.
Il film racconta di un piccolo gruppo femminile che in quell’anno infuocato dove si manifestava contro l’America con la k, la famiglia autoritaria, la scuola dei padroni, l’oppressione sessuale, poco o nulla è appassionato al conflitto delle sue “sorelle” e “fratelli”.
Al contrario, vuole suonare e cantare. Non legge Simone de Beauvoir, Kate Millett, Marcuse o Galvano Della Volpe. Piuttosto balbetta l’inglese appreso ascoltando Aretha Franklin e Otis Redding.
Cresciute nel triangolo delle acciaierie di Piombino, porto di Livorno e fabbriche Piaggio di Pontedera, in una provincia rossissima, il gruppo si battezza le Stars anche se “belle no, non eravamo”.
Una cosa le cinque (una sola maggiorenne) hanno in testa: mettersi insieme per formare una band. Come i maschi, diversamente dai maschi. Ottengono subito un discreto successo.
L’impresario, quell’Ivo Saggini nella parte del lupo, se non cattivo certo imprevidente, promette di portarle in Giappone, a Manila, invece le catapulta in Vietnam, sotto le bombe. Concerti quattro volte al giorno. Mangiano pochissimo. Nelle prime file il pubblico che ascolta è composto dai marines. Le ragazze non cantano “Oh sole mio” ma, tirando via sulla pronuncia, il soul.
Intanto “quelli della mia età” cioè della loro sfilano inalberando cartelli contro gli yankee e l’intervento sanguinoso degli americani nel sudest asiatico: “Il Vietcong vince perché spara”. Questo è il ’68 al quale siamo abituati: si sfila davanti alla Casa Bianca, a Boulevard Montparnasse arrivano i Crs, a Roma inseguiti dai poliziotti con gli scudi trasparenti. Le cinque sono al centro dell’inferno. Senza soldi per il volo di ritorno. E nemmeno i passaporti che a ogni buon conto sono stati confiscati.
In quei tre mesi bruciano la loro educazione politica. Vedono morti, feriti, sentono raccontare di torture terribili praticate dalle due parti, respirano un puzzo che, una volta tornate, gli resterà a lungo nelle narici. Non si considerano delle eroine, non si atteggiano a combattenti. Non vanno al nord: dalla parte “giusta”, come Joan Baez. A momenti si disperano, poi tornano a essere curiose. Accumulano esperienze. Qualcuna è grata per ciò che ha capito; una di loro cancellerà tutto.
Al ritorno non hanno pace. Colpevoli agli occhi del Pci di aver suonato per gli yankees, per gli americani sanguinari. E così la tournée fra Saigon e le basi americane resta sepolta per cinquant’anni. Fortuna che Wilma Labate l’ha dissepolta. Senza luoghi comuni o partiti presi, è il più bel racconto di un indimenticabile 68 fatto dopo cinquant’anni da un gruppo di donne.
Una scuola imprevista di vita e di musica
di Ghisi Grütter
La regista in “Arrivederci Saigon” ha raccontato una storia vera di cui non si era mai sentito parlare, avvenuta proprio nel ‘68.
Questo documentario è tutto giocato sul montaggio (Mario Marrone), infatti, Wilma Labate giustappone la storia di un complesso musicale femminile toscano formatosi in quegli anni “Le Stars”, con filmati di repertorio che rappresentano ciò che avveniva contemporaneamente nel mondo: le interviste alle protagoniste sono inframezzate da immagini di manifestazioni politiche svoltesi a Parigi (il famoso maggio francese), a New York, a Washington, ma anche a Roma e a Milano, oltre alle immagini della guerra nel Sud del Vietnam. In quegli anni tante furono le marce per la pace nel mondo, le veglie in favore del Vietnam, le manifestazioni anti-americane. Ogni tanto nel film si vedono anche scene della Piombino attuale, da dove la maggior parte delle ragazze proveniva, con i suoi graffiti street art e le sue fabbriche. È stata molto brava Wilma Labate a elaborare questa ricerca negli Archivi dell’Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, all’Istituto Luce e a Rai teche. Purtroppo non è stato possibile trovare brani dei concerti tenuti da “Le Stars” in Vietnam.
Le protagoniste di questa incredibile avventura sul fronte di Saigon sono: Rossella Canaccini (voce solista), Viviana Tocchella (pianista), Franca Deni (chitarra) e Daniela Santerini (tastiera) e una quinta ragazza alla batteria che ha deciso di non partecipare al documentario, probabilmente perché ha voluto dimenticare questa esperienza. Figlie di operai comunisti delle fabbriche di Piaggio Pontedera, delle acciaierie di Piombino o del porto di Livorno le ragazze, dotate di uno straordinario talento, accettarono ingenuamente di seguire un manager – che si rivelò essere un po’ truffaldino – che le ha portato in giro in varie tournée. Nonostante quattro su cinque fossero minorenni si sono trovate ad affrontare un viaggio in Estremo Oriente senza sapere esattamente i luoghi e i percorsi che avrebbero fatto, pensando di andare a Hong Kong, nelle Filippine e a Singapore. Si sono ritrovate invece a tenere su il morale delle truppe Americane in Vietnam, spostate lungo la linea del fronte. Le sanzioni in caso di rinuncia e di rientro anticipato erano eccessivamente alte, così le ragazze a malincuore si sono adattate a restare lì.
L’ignoranza della vicenda, la paura, l’imbarazzo, la nostalgia di casa… tante erano le sensazioni e i sentimenti talvolta contrastanti, che hanno provato in quei tre mesi tremendi. “Le Stars” hanno provato pena per tutti quei ragazzi giovani mandati a morire così lontano da casa, ciononostante non hanno potuto non riscontrare gravi eventi di razzismo, sia nei confronti dei Vietcong sia nei confronti dei neri. In particolare hanno raccontato l’episodio in cui un autista ha obbligato un soldato nero a scendere dal suo autobus, quindi le coraggiose ragazze scesero anche loro per protesta. Hanno visto morire i giovani, seviziare i vietnamiti e sentito i feriti urlare dal dolore. La dura esperienza di quei mesi però è stata comunque un’irripetibile occasione per incontrare i neri americani e confrontarsi con lori cantando e suonando la loro musica.
Le cinque ragazze, una volta tornate in Italia, non hanno potuto raccontare troppo di questa esperienza agghiacciante, perché sono state accusate di essere filo-americane perché avevano cantato per le truppe. Aver suonato per gli yankees costituiva un’onta che per le famiglie, gli amici, i compagni della sezione del Partito Comunista e gli studenti in lotta, era impossibile cancellare.
Una delle cinque ragazze che si era ammalata in Vietnam, uscì dal gruppo e scelse di fare l’infermiera, e man mano a turno si separarono. Rossella, dopo una breve stagione da solista – ha partecipato a Sanremo 1974 con la canzone “Qui” – aprì una scuola di canto e Viviana iniziò a dare lezioni di pianoforte.
La guerra del Vietnam è considerata il maggiore conflitto combattuto dagli Stati Uniti dopo la Seconda Guerra Mondiale e durò dal 1960 fino all’aprile del 1975. La guerra tra statunitensi e vietnamiti è stata un conflitto ingiusto e brutale che costò al Vietnam, secondo le cifre del Governo, oltre 5.000.000 di vittime in gran parte civili, e agli Stati Uniti 60.000 soldati.
Il film ha una colonna sonora d’eccezione che fa venire i brividi a tutti coloro che hanno vissuto in quegli anni: il Rithm & Blues e il Soul di Otis Redding, di Aretha Franklin, di Nina Simone e Wilson Pickett, accompagnano le dichiarazioni pacifiste di Martin Luther King.
Presentato quest’anno a Venezia nella Sezione Sconfini, “Arrivederci Saigon” ha ottenuto meritatamente il successo del pubblico e della critica.