Mi è piaciuto il discorso che Pietro Grasso ha pronunciato domenica (3 dicembre) all’assemblea che ha visto unirsi in un’unica formazione Mdp, Sinistra Italiana e Possibile. Sembrava sincera anche la partecipazione e commozione con cui ha chiuso citando l’articolo 3 della Costituzione – quello che con più efficacia linguistica si propone di rimuovere ogni ostacolo alla “libertà e uguaglianza dei cittadini”, al “pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”, dopo aver affermato che l’eguaglianza e la pari dignità dei cittadini non sopportano “distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Grasso ha poi ripetuto più volte “Sì, liberi e uguali, liberi e uguali”, lanciando con ispirazione quello che sembra essere il nome della nuova forza politica.
Ora, premesso che mi viene voglia di votare per Grasso anche solo per reagire alla volgarità con cui immediatamente si è espresso Renzi (volgarità incredibilmente ripresa come propria osservazione da un editoriale di Claudio Tito sulla Repubblica), alludendo al fatto che chi comanda davvero da quelle parti è D’Alema; premesso che voterei persino per D’Alema, la cui (supposta) antipatia sembra essere rimasta l’argomento più forte della propaganda renzista…. premesso questo, dicevo, resta il fatto che quel nome, “Liberi e uguali”, qualche problema lo pone (e non solo per gli associati di “Libertà uguale”, gruppo che raccoglie da tempo gli esponenti di orientamento più riformista e liberale dell’ex PDS, poi Pd ecc. che si sentono un po’ “scippati”).
A protestare sono state subito molte donne, per quella declinazione maschile, che – unita ai selfie di gruppo con Grasso attorniato dai tre più giovani leader Speranza, Civati e Fratoianni – non contribuisce a dare un’immagine, diciamo così, normalmente sessuata della proposta che intende rivolgersi ai cittadini e alle cittadine di questo paese.
I nomi sono la conseguenza delle cose, e contribuiscono anche a determinarle.
Forse bisogna prendere definitivamente atto che la cultura che prevale a sinistra, pur tra tante e spesso opposte declinazioni, sembra accomunata dall’incapacità di vedere davvero la differenza e le differenze di sesso, e quindi una parte veramente grande della realtà. La crisi che attanaglia la sinistra probabilmente sente di dover ripartire dai fondamenti, e il riflesso, non so quanto consapevole, di tornare a quel motto del 1789 – libertè, egalitè, fraternitè – ma rimuovendone il terzo significativo comandamento, potrebbe anche aprire una riflessione.
Non solo al tempo dell’antica Atene, ma anche la democrazia moderna, nata con quelle parole, ha una matrice inesorabilmente maschile e i primi a esserne consapevoli dovrebbero essere proprio i moderni politici maschi. Come prevalentemente maschile è il segno dei fallimenti della politica che si dice democratica (tra i quali gli ancora insufficienti effetti concreti e simbolici del suffragio universale, frutto di un secolo di lotte femminili e femministe). C’é quindi qualcosa di logico che siano quasi tutti uomini anche coloro che cercano di porre qualche rimedio. Sarebbe importante, però, che lo sapessero. E ci ragionassero un po’.
Pietro Grasso ha avuto la sensibilità di chiedere pubblicamente scusa a nome del nostro sesso per la violenza sulle donne. Un altro passo sarebbe chiedersi che cos’é la libertà nell’epoca in cui nasce una nuova libertà femminile. Un cartello alla manifestazione di Non una di meno il 25 novembre diceva: la libertà delle donne è la libertà di tutti.
Ma non credo che aiuti definirla, con tutto il rispetto per il pensiero liberale, una “libertà uguale”.