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Microcritiche / Il bambino-zucchina che ci commuove

30 Dicembre 2016
di Ghisi Grütter

imgresLA MIA VITA DA ZUCCHINA – Film di Claude Barras e sceneggiatura di Céline Sciamma. Con Gaspard Schlatter, Sixtine Murat, Paul Jaccoud, Michel Vuillermoz. Musiche di Sophie Hunger-

Gli europei francofoni sono molto bravi a fare film d’animazione dove spesso vengono toccate tematiche sociali importanti. “La mia vita da zucchina” in particolare è un film commovente, un condensato di buone intenzioni e di visioni politically correct: l’istituto per minori, in cui ogni ragazzo ha una storia drammatica alle spalle, è accogliente, il poliziotto è buono, il giudice è comprensivo. C’è spazio anche per gli amori delicati e i rossori della pubertà e per la curiosità sessuale. «Che fa il pisellino, esplode?» chiede uno degli orfani all’amichetto considerato più esperto.
La mia vita da zucchina” è un film estremamente gradevole nonostante il clima malinconico nel quali ci fa immergere. Icare detto Zucchina è un bambino di nove anni che parla poco e ama molto disegnare. Vive nella sua stanza mansardata e tiene una sorta di diario per immagini, con le quali riesce a comunicare molto bene. Rimasto orfano a nove anni per la morte accidentale della madre alcolizzata – il padre lo aveva abbandonato anni prima – il nostro eroe viene interrogato da Raymond, un empatico poliziotto che, si saprà poi, aver perso a sua volta il proprio figliuolo. Raymond accompagnerà Zucchina nella casa-famiglia – dove troverà tanti bambini nella sua stessa condizione – e continuerà ad andarlo a trovare regolarmente. Icare ha con sé una lattina di birra come unico ricordo della madre (che però faceva un purè molto buono) e ha disegnato su un aquilone il suo papà da un lato e una gallina sul retro perché la mamma diceva che suo padre «Correva sempre dietro alle pollastrelle».
Lì Zucchina conoscerà Simon, Ahmed, Jujube, Alic e Bétrice e poi l’ultima arrivata Camille – di cui s’innamorerà – tutti bambini che vivono isolati dal mondo in una campagna, anch’essa isolata. Assolutamente deserte sono anche le montagne innevate dove andranno a fare una scampagnata tutti insieme. Il dato surreale circonda il gruppettino dei bambini e fa emergere ancora di più la coesione che nasce tra loro.
Un po’ come i personaggi di Linus, Snoopy, Lucy, Charlie Brown e Shröreder, l’altezza del punto di vista è quella dell’occhio di bambino e vivono in un microcosmo tutto loro, ma mentre gli eroi statunitensi sono i figli di una middle-class suburbana e integrata, qui i bambini fanno parte di un’umanità sofferente che vive ai margini della società. Chi ha avuto i genitori drogati, chi la madre rimpatriata a forza nel paese d’origine, chi il padre pedofilo o assassino o ladro. I pupazzi di plastilina animati in stop motion con gli occhioni grandi di Claude Barras assomigliano molto a quelli di Tim Burton de La sposa cadavere del 2005.
Il film è tratto dal libro “Autobiografia di una zucchina” di Gilles Paris e il primo lungometraggio dello svizzero Claude Barras che è riuscito a ottenere i diritti nel 2008. Solo dopo l’incontro con la cineasta francese Cecile Sciamma è riuscito a realizzare questo delizioso film girato al Pôle Pixel di Villeurbanne al ritmo di trenta secondi al giorno. “La mia vita da zucchina” è stato presentato alla “Quinzaine des Réalisateurs” del festival di Cannes di quest’anno e proposto all’Oscar come migliore film straniero dalla Svizzera.
Bravi anche i doppiatori italiani: Lorenzo D’Agata (Zucchina), Lucrezia Roma (Camille), Riccardo Suarez (Simon), Stefano Mondini (Raymond).

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