Cercando – in rete ovviamente – l’etimologia della parola ragazzo o ragazza mi sono imbattuto in ipotesi diverse. Suggestiva quella che un termine così comune per noi derivi dall’arabo raqqas, che vuol dire corriere, portalettere. Ma ci sono altre derivazioni dal latino e dal greco (rake vuol dire abito cencioso) che rimandano alla figura del giovane servo, o ancora dal dialettale dell’alta Italia ragar, che allude – come anche toso e mozzo – al fatto che ai giovani, specialmente del popolo, si rasavano i capelli. E infine dall’anglo-sassone rag, vale a dire pezzetto, piccolezza.
Si potrebbe scorgere in tutte queste possibili e imprevedibili (almeno per me) origini della parola qualche tratto comune relativo al mutamento di luogo e di stato. Si corre, si cambia condizione sociale, si cresce. Da una condizione di minorità, di piccolezza, verso altro: la maturità, o qualcosa di peggio (o di meglio)… C’è ovviamente un divenire implicito nell’idea di giovane persona.
Del divenire dei ragazzi e delle ragazze parla Alain Badiou nel suo ultimo libretto – uscito per Ponte alle Grazie – La vera vita. Appello alla corruzione dei giovani. Corruzione “socratica”, come spiega il filosofo francese sulla Repubblica di giovedì 22 settembre, dove simpaticamente propone un’alleanza tra “nonni” e “nipoti” per “salvare il mondo”. La sua generazione è quella che ha vissuto il ’68 e quel che ne è seguito: i più giovani, insoddisfatti della vita e del mondo che li aspetta, forse potrebbero trarre qualche cosa di buono dalla relazione con questi uomini e donne più “antichi”, come dice una cara amica sorvolando con leggiadria su altri termini (vecchi, anziani ecc.). Siamo testimoni di un tempo, scrive Badiou, in cui “l’universo della tradizione era ancora sufficientemente forte per permettere alla rivolta di avere un senso all’interno della modernità”. Ciò non significa indulgere a equivoci nostalgici. Dopo il fallimento del comunismo, per reagire al caos mondiale che producono il capitalismo e il liberismo vincenti, servono nuove idee alternative. Non si sa ancora cosa e come fare, ma “già porsi la domanda, ed esprimere un’esigenza, mi pare un progresso”, afferma ottimisticamente Badiou.
Che si rivolge a ragazzi e ragazze, in due capitoli diversi, convinto di quanto sia “essenziale” il “motivo della differenza fra i sessi”.
Ne consiglierei la lettura e la discussione. ( Vedi anche la recensione che sempre sul manifesto ha scritto Marco Bascetta)
In estrema sintesi, nei comportamenti dei più giovani il filosofo (che ha tre figli maschi e una femmina) vede, appunto, una differenza. I figli non hanno più a disposizione riti di passaggio all’età adulta e crescono mantenendo una personalità infantile in cui trascinano anche i padri. Tutti insieme clienti perfetti del consumismo neoliberista.
Le figlie non hanno più bisogno del matrimonio e di una mediazione maschile per diventare adulte, sono subito donne. E lo si vede nella forza e sicurezza con cui eccellono, a scuola e non solo. Il potere seduttivo del capitalismo potrebbe persino farne (aiutato da certo “femminismo borghese”) la nuova classe dominante di “abili arrampicatrici” sul gregge di “adolescenti stupidi”.
Badiou – consapevole del rischio che si assume a parlare di giovani donne – non reprime il fantasma di una terribile dominazione femminile del mondo. Ma chiude con “la massima fiducia” nelle ragazze-donne, che sfuggiranno alla tentazione del potere. E offriranno un nuovo simbolico universale a partire dalla “nascita e da tutto quel che ne deriva”. Gli uomini saranno indotti a associarsi di buon grado nel nuovo regno della riproduzione e della cura.