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In una parola / Stereotipi

12 Maggio 2016
di Alberto Leiss

images-3Pubblicato sul manifesto il 10 maggio 2016 –

Stereotipo, che parolone! Non sapevo che cosa volesse dire, poi ho capito che significa luogo comune, pregiudizio. Ne sono stato vittima anch’io: portavo i capelli lunghi e mi dicevano che era una cosa da femmine. Era seccante, ma non me ne importava. Ora li porto più corti , ma l’ho deciso io! Ragiono con la mia testa…”. Gaetano è un ragazzino minuto, con un ciuffo ben curato che gli ricade su un lato del volto. Con le compagne e i compagni di prima media racconta che cosa ha guadagnato lungo due anni di incontri , giochi, scritture, filmati inventati nel progetto “Conoscere, formare per cambiare”. Un’esperienza che ho incontrato l’anno scorso in una quinta elementare di Salerno, nell’Istituto Comprensivo Statale ( che comprende, cioè, le classi elementari e le medie) intitolato a Rita Levi Montalcini.
Qui il genio e l’autorità femminile non sono solo evocate dal nome della scuola. Il progetto è stato proposto da un’associazione di “Donne in movimento”, accettato dalla dirigente scolastica, fatto proprio dalla maestra e poi da insegnanti delle medie, conquistando via via la partecipazione di mamme e ( un po’ meno) di papà. Lo si coglie a colpo d’occhio nel bel cortile antico nel centro di Salerno dove si tirano le somme di questi due anni, anche con le riflessioni stimolate da una mostra delle foto sulla pubblicità sessista di Ico Gasparri, e da uno spettacolo teatrale. Il “percorso educativo” si propone di prevenire ” ogni forma di violenza e discriminazione” e di affermare una “piena cittadinanza delle differenze”.
La cosa che più coinvolge e suscita attenzione sono le testimonianze di ragazze e ragazzi. Dopo Gaetano parla Luigi, che già l’anno scorso rivendicava con passione il suo “sogno”: diventare un campione di ginnastica ritmica; e tutti a dirgli che non era un mestiere da maschi. “Ho capito che il mondo è nelle mani di chi è capace di sognare”, risponde oggi ancora più convinto. In questo aiutato da genitori che lo hanno sostenuto. Francesca confessa che “si sottovalutava”, ma grazie al lavoro fatto con gli altri compagni, le insegnanti, le donne impegnate nel progetto, ha “imparato a affrontare il suo disagio”. “Stereotipi e luoghi comuni – continua – sono difficili da eliminare perchè sono nascosti”, ma grazie agli scambi e alle nuove attività didattiche si possono ora riconoscere.
La base del progetto è proprio il lavoro sulle parole e sui loro molteplici significati. Tenere un diario, riscrivere le favole, declinare il vecchio sempre nuovo ” che cosa farò da grande”, giocare e litigare tra tutti, aiutano le nuove interpretazioni. Le elaborazioni sullo sterminato materiale che arriva ai ragazzi dai media, dal cinema, dalla tv. Aiutano il dialogo e l’integrazione, come dimostra Yasir: “Prima mi tenevo dentro i sentimenti. Ora posso anche arrabbiarmi, e poi ci dormo sopra…”.
Ci vorrebbe lo spazio per riferire anche i racconti di Alessandra, Veronica, Flavia, Cristina, Vittorio, Mariangela, Enza, Antonio, Sara, Angela, Francesca, Aurelia… La dirigente scolastica ha ricordato alla fine che al momento di decidere se accettare la proposta del progetto era “spaventata”: era al culmine la discussione pubblica e la polemica contro la “teoria del gender” e i presunti attentati alla “famiglia naturale”. Ma i risultati – afferma – dimostrano la giustezza di quella scelta, un ” percorso educativo autentico” ,che ora deve continuare e semmai coinvolgere altre scuole. L’assessora comunale, che è presente, è d’accordo. Ringraziamenti e complimenti si ripetono per Lella (Raffaellina Marinucci), appassionata animatrice del progetto. Una mamma, Gianna, invita gli uomini a “non restare troppo indietro”.

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