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La passione e i segni di Laura

19 Dicembre 2015
di Franca Chiaromonte Letizia Paolozzi

imgresLa vicenda della ragazza dalla fronte bombata, il sorriso smagliante, che canticchiava senza vergogna “Magari ti chiamerò: Trottolino amoroso, Dudu dadadà” ce la raccontano Irene de Guttry e Cristina Liquori nel libro “L’architettura necessaria di Laura Gallucci” (con i saggi di Maristella Casciato e Claudia Mattogno, editore Quodlibet).
Lo fanno appoggiandosi ai disegni, agli appunti, alle immagini delle abitazioni progettate da Laura. Che era giovane negli anni Settanta, esigente con se stessa, generosa con gli altri, tesa ad affrontare le grandi questioni della società: politica, femminismo, forme della modernità.
Per tessere il filo della sua vita che si è spezzato un giorno del 2012, le due autrici (e il grafico Alberto Lecaldano) hanno deciso di accostare linguaggi differenti: il tratto, la parola, l’uso dello spazio.
In effetti, nelle pagine del libro trovate lo schizzo veloce, arricchito dalle ombreggiature, che riesce a acchiappare la riunione in una sezione di partito oppure la marcia minacciosa di King Kong, la carica della polizia, il “continuo confliggere” di un gruppo femminista (un Gioco dell’oca in cui si torna alla casella di partenza).
E poi ci sono i testi, gli appunti che danno conto delle passioni, delle riflessioni di Laura. Sceglieva la scrittura minuta piuttosto che l’enfatica dichiarazione d’intenti. D’altronde, non amava tanto parlare quanto ascoltare. Rappresentava una forma di partecipazione, di condivisione. In effetti, ti dava valore. “Proprio così, hai ragione. Io non ci avrei pensato”.
Non era tipo da concedersi al narcisismo da prima donna. Nelle riunioni, nelle assemblee, quando veniva, sedeva di lato. Per osservare. Probabilmente, nella sua testa stava prendendo appunti. Aveva il gusto della riservatezza ma si prendeva cura delle relazioni (ne aveva tante che si trascinava dietro da tempi immemorabili).
Il lavoro di architetta si può seguire attraverso le fotografie e grazie alle sue spiegazioni. “Mi occupo dell’abitare, di costruire spazi dove le persone abiteranno e vivranno e quindi è fondamentale per me osservare come si vive, che cosa si desidera, quali sono i cambiamenti nel quotidiano”.
Abitare non basato su formule, sulle imposizioni della moda. Dal momento che ben evidente risulta il suo legame con il reale. Per questo, vogliamo definirla “architetta femminista”? Senza accentuare la differenza sessuale, secondo noi chi costruisce dovrebbe prestare attenzione alle condizioni del vivere.
Tuttavia, dal momento che Laura conosceva gli ostacoli che si frappongono alla libertà femminile, questi ostacoli li ha combattuti immaginando delle costruzioni aperte ai legami tra persone, contro la rigidità dei codici, la linearità, i sistemi chiusi, sclerotizzati.
Osservando le fotografie dei tanti interni che ha immaginato e realizzato, scopriamo le tracce di una continua metamorfosi per allargare così da allineare finestre, arrotondare pareti, abbattere muri inseguendo un’idea di circolarità. Con lo sguardo connotato da empatia per il suo sesso: le donne, appunto.
D’altronde, la sua casa ideale era quella dove abitare con agio e organizzare la cena all’ultimo momento, ascoltare musica, tenersi accanto un libro e il portacenere sottomano; i vestiti sparsi, le scarpe disseminate, i tanti oggetti nascosti in camera da letto.
Per lei riqualificare un appartamento, una cucina, un bagno, incastrare la libreria erano opere e operazioni ugualmente importanti. L’artigiano e il costruttore dovevano procedere appaiati: nessuna separazione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale. “Nella mostra Anni santi a Palazzo Venezia mi è capitato di passare tutta la notte della vigilia dell’inaugurazione a piegare con l’accendino barrette di perspex che servivano da supporti e ho dormito per due ore dentro la custodia di un sarcofago”.
Renato Anzaldi, specializzato in infissi (serramenti in alluminio e poi grate, persiane in ferro), di Laura con la quale ha collaborato per vent’anni, dice: “Mi allargava la vista”.
Succedeva anche a noi che l’abbiamo conosciuta. E questo libro ce lo conferma attraverso la storia che racconta.

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