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In una parola / Barbe (e differenza)

21 Ottobre 2015
di Alberto Leiss

imagesPubblicato sul manifesto il 20 ottobre 2015 –

Ho ceduto alla debolezza di nominare in questo spazio il fatto che mi sono fatto ricrescere la barba. Accostando la cosa all’aspetto del coetaneo Jeremy Corbin e addirittura all’imponente barbone di Marx. Barbe di sinistra, insomma.
Ma mi sto accorgendo con qualche raccapriccio che siamo nel pieno di un ritorno della barba come moda: se ne discute con dovizia di argomentazioni sulle riviste patinate destinate al glamour maschile. C’è un boom di barber-shop e si vendono una quantità di rasoi speciali per calibrare la lunghezza del pizzetto. Circolano studi “scientifici” in cui si analizzano i corsi e i ricorsi storici della tendenza degli uomini a radersi o invece a lasciarsi crescere barba e baffi in diverse fogge, dai diversi significati.
Sembra, per esempio, che a favorire le pelurie più o meno ab Corbibondanti sui volti maschili siano i periodi di crisi economica: la recente nuova ondata risalirebbe agli anni dopo il crash globale del 2008. Come già negli anni ’20 e ’30.
Altre tesi indicano una specie di “ciclo Kondratieff” dell’aspetto virile: quando dominano i rasati, qualcuno per distinguersi e farsi notare si fa crescere la barba e inaugura una tendenza. Ma quando i barbuti sono in eccesso si innesca una reazione uguale e contraria (secondo alcuni “analisti” saremmo già sulla soglia del ritorno del pendolo). Mi e vi risparmio le disquisizioni sull’origine dei tipi maschili “metrosexual”, “retrosexual”, “genderless”, “bear”…
Ma è altrettanto facile mettere in relazione le barbe con le passioni giovanili, più o meno politiche. Lo dico da vecchio sessantottino.
Purtroppo siamo circondati da barbe che ci parlano delle più diverse e orribili tendenze, individuali e collettive: il pensiero va alle truci milizie del “Califfo”, ma anche ai giovani e giovanissimi militanti della criminalità urbana di cui ci parlano le cronache, e che abbiamo ammirato nella fiction Gomorra – la serie.
Dunque non possiamo permetterci di indossare la nostra barba senza porci qualche domanda. Che cosa significa per noi e per chi ci guarda?
Nella rubrica Single di Antonella Baccaro, sul Corriere della Sera di sabato 17 ottobre, ho letto questa diagnosi: gli uomini non si radono più perché dietro la barba si nascondono. E si nascondono dal fatto che “sono in crisi”. Naturalmente ciò è dovuto alla nuova forza e soggettività femminile. Gli uomini “si sono sentiti attaccati e stanno reagendo cercando di restringere gli spazi che avevano finora concesso”. La barba segnerebbe un “confine” che le donne non possono superare: potete essere come noi in tutto, ma fino a un certo punto!
Il commento finale è impietoso: “Poveri uomini, è davvero poco”.
Ci sarebbe da discutere su questo tipo di rappresentazioni, tuttavia proviamo a riconoscere il nucleo di verità che contengono. Le relazioni tra i sessi sono cambiate, e molto, soprattutto per iniziativa delle donne. Con una dirompente richiesta di ottenere parità e nello stesso tempo riconoscimento pieno della differenza.
Una bella contraddizione per noi che ogni mattina, guardandoci allo specchio, siamo assaliti da dubbi sempre più sottili e difficili su come affrontare la giornata. Tra l’altro: radersi, e godersi il piacere di una bella spruzzata di after-shave? Oppure rifinire accuratamente lunghezza e profilo del pelo che incornicia il volto?
Potrebbe non essere poi così “poco” se questi interrogativi e questi gesti ci aiutassero a vedere meglio la differenza che è in noi. E come valorizzarla in una risposta che si emancipi tanto dalle paure difensive quanto dai rancori aggressivi. Con o senza barbe.

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