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Microcritiche / La libertà in taxi

8 Settembre 2015
di Ghisi Grütter

images-2Taxi Teheran – Film di Jafar Panahi –

Vincitore dell’Orso d’Oro all’ultimo festival di Berlino, “Taxi Teheran” è un film iraniano diretto e interpretato da Jafar Panahi. Questo regista è stato condannato dal suo governo a non poter girare film per vent’anni perché ritenuto colpevole di fare propaganda anti-regime. Ciononostante Panahi riesce a girare in clandestinità. Ne è un esempio questo film in cui lui stesso si finge autista di un taxi collettivo e, fissata una telecamera sul cruscotto, riprende tutti i personaggi che salgono sulla sua auto e le loro conversazioni. Idea di per sé non originalissima poiché le confidenze ai tassisti hanno sempre stimolato la fantasia di registi più o meno impegnati politicamente.
Taxi Teheran” è un esempio di cinema militante che fa riflettere. Sembra che le persone in taxi affrontino vari temi come, ad esempio, quelli dei reati e delle loro punizioni con posizioni anche diametralmente opposte. Una maestra elementare, infatti, discute con un giovane sedicente ladro, sull’eccesso della pena di alcuni piccoli furtarelli che lei interpreta più come segno di disperazione che come un vero e proprio reato. Una giovane avvocatessa, poeticamente e simbolicamente rappresentata sempre con un mazzo di rose rosse, difende i diritti delle donne cui è vietato perfino accedere allo stadio sportivo, crimine punibile in Iran con la detenzione! Un piccolo trafficante di DVD mette insieme film non ancora usciti a film non distribuiti in Iran giudicati troppo “occidentali” e democratici. Una donna in lacrime accompagna il marito ferito che nel tragitto vuole filmare il suo testamento. Smartphone, macchina fotografica e telecamera sono oggi dunque tutti mezzi della memoria che captano la realtà e il volere delle persone.
Non è mai chiaro il limite tra finzione e realtà. Il mio dubbio, infatti, è proprio su questo, il film non è uno “specchio segreto” perché c’è un disegno dietro, una costruzione, ma non è neanche sufficientemente chiarificatore perché spiega poco e affronta troppe poche cose, richiudendosi più su simboli di libertà. Alla fine il film risulta interessante ma sicuramente non dei migliori di Jafar Panahi.

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