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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Le matrici della violenza

7 Aprile 2015
di Letizia Paolozzi

images-3Ragazzi (e ragazze) di Berlino, Parigi, Amsterdam in fuga da una vita socialmente disperata alla ricerca di un senso da dare all’esistenza. Bidonvilles dove si agitano masse diseredate, giovani con la voglia di sangue. Gruppi etnici in lotta per affermare la propria specificità nascosta dietro una patina di vernice religiosa. Musulmani pronti a imitare chi combatte in Siria, Iraq . Sunniti che in Yemen si connotano come rivali di quella che considerano l’arroganza dell’Iran e degli sciiti. Per tutti, siano o no veri credenti, la violenza è un mezzo a portata di mano. Semplice ma capace di promettere salvezza passando a fil di spada “crociati”, eretici e infedeli.
Basta andarseli a cercare nelle scuole, nelle università (“Un massacro contro l’intelligenza” ha titolato Le Monde), nelle chiese date alle fiamme. Oppure negli alberghi, nei grandi magazzini: esempio abietto e fintamente scintillante delle ingiustizie dell’Occidente.
Quanto alla memoria la picconano appoggiandosi a una sorta di jihad contro il passato: dai siti assiri al museo di Mosul a quello del Bardo. Salvo qualche antica scultura che venderanno di contrabbando.
Se i ragazzi e le ragazze massacrati nel campus di Garissa erano per lo più cristiani e se i cristiani sono tra le comunità più perseguitate, l’elenco comprende siriani, iracheni, nigeriani (chissà se torneranno un giorno le ragazze rapite da Boko Haram) oltre gli americani, olandesi, giapponesi.
Di fronte alla ferocia di chi sta ammucchiando vittime, non è facile replicare. Veniamo immediatamente accusati/e di passività, inerzia, pavidità. Sarà pure vero, ma vi sembra che la strada del ricorso alle armi (ieri, il ministro degli Esteri, Gentiloni) sia più trascinante?
Papa Francesco ha invitato a riflettere sull’esperienza delle discepole di Gesù. “Gli uomini rimasero chiusi nel cenacolo. Le donne, invece, all’alba del giorno dopo il sabato, andarono al sepolcro per ungere il corpo di Gesù”. Il sepolcro era vuoto. Ma le discepole non ebbero paura. Entrarono nel mistero della Resurrezione che “ci chiede di non avere paura della realtà: non chiudersi in sé stessi, non fuggire davanti a ciò che non comprendiamo, non chiudere gli occhi davanti ai problemi, non negarli, non eliminare gli interrogativi…”
Noi, che non siamo le discepole di Gesù, abbiamo di fronte un altro mistero. Quello della violenza che può produrre un disordine estremo o magari un nuovo ordine, porre una domanda di giustizia o precipitare in una negazione dell’umanità.
Bisogna provare a interrogarlo. Senza farci accecare dall’orrore. Senza accettare soluzioni di ripiego. “Guardare a tutte le violenze di cui siamo testimoni cercando di comprendere le radici diverse di ogni diverso conflitto. Leggere le ragioni politiche e simboliche che producono sempre gerarchie diverse nell’”importanza” delle vittime” ha scritto Alberto Leiss (sul “Manifesto”).
Per questo, sforziamoci di distinguere. Perché le violenze non sono riconducibili a un’unica causa. Si tratti del neoliberismo oppure di crudeltà patriarcale. Certo, a perpetrarle sono quasi sempre uomini e di “matrice virile della violenza” scrive Lea Melandri su Facebook. Tuttavia, pur essendoci di mezzo la sessualità maschile, mi chiedo se mettere in croce quanti sono nati uomini porti davvero avanti la passione per la libertà femminile.

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