BIG EYES – film di Tim Burton –
Tim Burton confeziona questo divertente film biografico sulla vera storia della pittrice Margaret Ulbrich i cui quadri divennero famosi, ma spacciati come dipinti dal marito Walter Keane. I suoi quadri otterranno un enorme successo economico grazie alla scaltrezza commerciale di Walter che li diffonderà vendendone poster, cartoline e gadget vari.
Siamo nel 1958 quando Margaret – una bravissima Amy Adams – lascia il suo primo marito e, dalla suburbia californiana, si trasferisce a San Francisco. Stupisce vedere che una donna separata possa essere mal vista in una città statunitense evoluta e che il futuro datore di lavoro nel colloquio preliminare le chieda: «…e cosa pensa suo marito sul fatto che lei voglia lavorare? È d’accordo?». Sembrerebbe siano passati più di due secoli da allora!
Quelli della fine dei Cinquanta e tutta la decade dei Sessanta, sono gli anni del successo di Doris Day, della rappresentazione di tutte quelle mogli con i bigodini in testa nelle enormi cucine all’americana pronte ad augurare un mieloso “have-a-nice-day” ai mariti che vanno a lavorare downtown (ricordate Non mangiate le margherite di Charles Walter del 1960?). Sono i luoghi e gli ideali dell’American way-of-life illustrati da Norman Rockwell nelle 323 copertine del Saturday Evening Post. Ma dimentichiamo che sono anche gli anni della Beat Generation?
Il film narra un arco temporale di dieci anni nel quale avvengono vari cambiamenti anche del ruolo della donna all’interno della prudish society americana. La timida e insicura protagonista prende coscienza dei torti subiti, degli inganni e delle bugie del marito – un istrionico Christopher Waltz – e della sua abilità a circuire e abbindolare le persone con le sue chiacchiere. Smette di essere una riluttante complice della truffa, prende la figlia e scappa anche dal secondo marito e dai suoi ricatti. Lentamente acquisirà sicurezza, confortata anche dai testimoni di Geova, stimolata dalla sua stessa figlia ormai cresciuta, arriverà a svelare alla radio la verità sui quadri dei “bambini tristi con gli occhi grandi” trascinando alla fine l’ex-marito in un processo legale. Un divertente e appagante lieto fine è il dovuto tributo alla emancipazione femminile di Margaret Keane.
Tim Burton, inusualmente solare, dipinge la società americana nel suo solito modo zuccherato ma feroce, usando paesaggi urbani da fiaba e colori pastelli accesi dall’automobile ai vestiti. Burton cura con ironia anche l’arredamento della villa dei neo-ricchi in stile wrightiano, con salone open space, l’angolo bar e l’immancabile piscina quale status symbol del successo raggiunto.