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Microcritiche / Grande teatro nell’inverno turco

5 Novembre 2014
di Ghisi Grütter

KEY winter-sleep-086454 © nuri bilge ceylan-0-2000-0-1125-cropIl regno d’inverno – Winter Sleep – film di Nuri Bilge Ceylon –

Quale sarà il sottile limite che divide il cinema dal teatro? Molti film nordici sono girati prevalentemente in interni con camera fissa. Chi afferma che l’introspezione psicologica appartenga di più alla letteratura o alla drammaturgia più che alla cinematografia?
Winter sleep” si può interpretare come un omaggio al teatro russo (il protagonista vuole scrivere una storia del teatro turco); è un film molto classico ambientato nella steppa anatolica che evoca in maniera palese quella russa raccontata da Cechov nelle sue opere. Tale ambientazione sarebbe fuori dal tempo se non fosse per il computer e le e.mail che riceve protagonista. La luce fioca delle candele, il fuoco nel camino, le pareti di pietra e le camere non riscaldate ci restituiscono il romanzo ottocentesco.
La prima inquadratura sembra proprio un quadro di Anselm Kiefer: una steppa corposa di sterpi e arbusti, con il cielo ventoso che incombe. Da qui si passa alla livida tundra della Cappadocia, con le case scavate nel tufo ricche di pinnacoli e levigate dal tempo.
Marcello Barison su ilfattoquotidiano.it rileva un’affinità con la regia dell’ungherese Bèla Tarr che gira sempre in bianco e nero con lunghi piani sequenza. I film di Tarr, inoltre, trattano temi che indagano la razza umana principalmente nelle sue forme più degradate, pigre e incivili e raccontano dell’impotenza dell’uomo davanti alla morte.
Aydin (un bravissimo Haluk Bilginer) attore in pensione ma anche ricco possidente, gestisce un piccolo hotel nell’Anatolia centrale, che, guarda-caso ha chiamato “Othello”. Vive insieme alla giovane moglie Nihal e Necla, la sorella che lo ha raggiunto dopo il suo divorzio. Durante l’inverno, mentre la neve ricopre l’intera steppa, l’hotel diventa il loro rifugio, ma anche il teatro dei loro conflitti.
Il cinema turco è ben rappresentato da Nuri Bilge Ceylan che è molto amato a Cannes, che lo ha scoperto fin da un suo cortometraggio, e ha premiato “Winter Sleep” quest’anno. Il suo cinema spesso è fatto di lunghi piani sequenza, di molti silenzi, e di duri panorami all’orizzonte. “Winter Sleep” rientra nella categoria di “cinema rurale” ma presenta moltissimi dialoghi («ho taciuto per 15 anni…» dice il giovane professore ubriacandosi).
È presente tanto teatro – Aydin è un ex-attore che si accinge appunto a scrivere una storia del teatro turco – riconoscibile nell’ambientazione statica che contiene i conflitti e tiene in pressione l’intero racconto. “Il regno d’inverno” è palesemente čechoviano, per “l’odore dell’inverno” che è una sorte di letargo morale con la coltre di neve che tutto attutisce e addormenta l’esistenza; e proprio come nelle Tre sorelle i protagonisti vorrebbero poter cambiare vita, andarsene a Istanbul (Mosca, Mosca) immaginando una via di fuga che viene però inesorabilmente frustrata dalla loro abulia e dall’indisponibilità ad abbandonare una condizione di privilegio.
Ma c’è anche tanto cinema di Bergman, per il lavoro preciso e attento che palesa le incongruenze morali non salvando nessuno, rivelandole lentamente in un crescendo cui manca la catastrofe finale. Infatti lo spettatore vive tutto il film attendendo una disgrazia, un suicidio, una morte… invece le insofferenze e i risentimenti sono l’inevitabile palude in cui ristagna la vita rispetto alla quale nessuna fuga è praticabile. Aydin vuole partire ma dopo una notta passata dall’amico a ubriacarsi torna a casa convinto persino di essere cambiato…
Ceylan realizza un film ipnotico, molto parlato, ma ben riuscito senza cali di tono. Uno spietato ritratto dei rapporti umani di convivenza dove i non detti logorano e il tempo sembra cambiare tutti ma contemporaneamente non cambiare nulla.

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