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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

In una parola / Alienati

19 Agosto 2014
di Alberto Leiss

Pubblicato sul manifesto il 19 agosto 2014 –

Stavo pensando se dedicare questa rubrica alla parola terrore, dopo le polemiche suscitate dal grillino Alessandro Di Battista sul “che fare” di fronte all’Isis. Poi ho letto l’editoriale di Angelo Panebianco di ieri sul Corriere della sera e non posso fare a meno di proporre un’altra parola: alienati.
Il professore teme, evocando anche le posizioni di Di Battista, che si ripeta nelle “società democratiche occidentali” quel fenomeno che vide intellettuali e soggetti politici parteggiare per gli stati totalitari (nazisti e comunisti, senza alcuna differenza ovviamente). Oggi, a suo parere, il rischio è che questa “complicità” risorga a favore dell’estremismo islamico.
Ma la cosa più interessante di questo testo è che le posizioni di quanti hanno osato o osano criticare il “capitalismo occidentale” dall’interno delle stesse società capitalistiche e occidentali è bollata inesorabilmente: si tratta di alienati. Sic et simpliciter.
Un approccio mentale informato al più puro liberalismo.
Ho frequentato per molti anni luoghi alienati come l’Unità e il Pci, certamente pieni di errori ideologici e in parte votati a una insana critica del capitalismo, eppure mi sembra di aver imparato proprio lì che è un buon metodo cercare di non ignorare mai il nucleo di verità che si nasconde nelle posizioni anche del più distante avversario.
Per questo – pur non condividendo quasi nulla delle posizioni politiche e del linguaggio dei 5 stelle – mi sono letto il lungo “post” incriminato di Di Battista, scritto in un italiano traballante e percorso da giudizi politici tagliati con l’accetta, ma anche con una critica del ruolo occidentale nello scenario mediorientale non privo, appunto, di un nucleo di verità.
Una “complicità occidentale” a favore del successo dell’Isis infatti potrebbe essere rintracciata, oltre che nel ruolo dei nuovi alienati di casa nostra, anche nel modo in cui gli Usa e i loro alleati hanno condotto le cose e le guerre in quel cruciale pezzo di mondo, contribuendo non poco all’attuale successo dell’integralismo e del terrorismo di matrice islamica.
Non sarà quindi fondato un interrogativo sul perché la “guerra al terrore” dichiarata dal giovane Bush dopo l’11 settembre, e proseguita sia pure in forme diverse da Obama, nonostante l’eliminazione dell’arcinemico Bin Laden (inventato e finanziato contro i russi in Afghanistan da Usa e Arabia saudita) non abbia conseguito risultati positivi?
Non fa riflettere un commento come quello di Renzo Guolo sulla Repubblica di domenica, che definiva un “male minore” la decisione di armare ora i curdi contro il “califfo” e le sue stragi? Giusto armarli – era più o meno il ragionamento – ma solo fino a un certo punto, perché potrebbero poi fare un uso di quelle armi spiacevole per gli interessi occidentali…
Del resto interrogativi molto interessanti sulla natura di questi interessi e sulle modalità molto contraddittorie con le quali sono stati perseguiti in Medioriente si trovano nel testo di un altro autorevole commentatore del Corriere: il recente libro di Sergio Romano “Il declino dell’impero americano” (Longanesi). Immagino che Panebianco – o forse Panepangloss, vista la sua sicurezza di vivere nel migliore dei mondi occidentali possibili – l’abbia letto.
Ricordo vagamente che fu il giovane Marx a parlare dell’alienazione subita dagli operai nel modo di produzione capitalistico. Ma non si può escludere che certe professioni intellettuali subiscano simile sorte, non solo producendo gli irragionevoli atteggiamenti critici, ma anche le incrollabili certezze del consenso.

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