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Living Pakistan/ Leggere Wu Ming a Lahore

6 Maggio 2014
di Monica Luongo

L’armata dei sonnambuli (Einaudi) è un romanzo che alimenta le pulsioni. Nel senso storico e psicoanalitico del termine. Wu Ming, a sedici anni dalla pubblicazione di Q (a firma Luther Blisset), offre un romanzo storico, omaggio ai fasti e alle nefaste vicende della rivoluzione francese, della Convenzione e della successiva ribellione del 1795. Le pulsioni sono quelle elementari: fame, sesso, stanchezza, desiderio. Wu Ming non solo le mette al servizio della trama, ne rende anche doveroso tributo ripercorrendo la storia del magnetismo, dei primi esperimenti negli ospedali psichiatrici francesi, la/le storie di coloro – medici e pazienti – che portarono alle scoperte di Charcot alla Salpétrière fino a Freud e Jung. Per dirla in breve, alla scoperta dell’incoscio.

Qualcosa, che insieme agli esiti della rivoluzione francese, contribuì a cambiare il volto dell’Europa portandola fino al Novecento, fino a noi figli di oggi. A questo qualcosa aggiungerei un altro elemento determinante: nel romanzo di Wu Ming appaiono finalmente le donne. Non che nei precedenti lavori non ci fossero protagoniste femminili, ma sempre sullo sfondo di narrazioni al maschile (guerre, dolore, conflitti, sfide) quasi che il mondo non vedesse anche con occhi di donna (penso a Stella del mattino, per esempio). Ne L’armata dei sonnambuli Olympe de Gouges, le amazzoni, le tricoteuses, le pescivendole, balzano letteralmente sulla scena narrativa a cui Wu Ming da’ potente fiato nella rappresentazione del ruolo storiche che esse effettivamente ebbero accanto agli uomini. Sono donne che regolano le loro relazioni a suon di botte, che vengono cacciate via dalle assemblee quando divenute minacciose per chi è al comando, quelle che caparbie leggono documenti avendo a stento imparato a scrivere ma con tutta la tenacia di chi, consapevole del momento, vuole esserne protagonista.

Il racconto ha così corale con una partitura che al tempo stesso governa molti a solo: c’è Marie Nozière la sarta, che prende coscienza della lotta quando si tratta di calmierare il prezzo della farina e placare le pance da troppo tempo vuote; c’è Orphée d’Amblanc, medico magnetizzatore, che viene inviato dai commissari a indagare su casi di ipnotismo collettivo in Alvernia mentre infuria la ribellione in Vandea e che porterà alla composizione di una banda di violenti ipnotizzatori nelle mani di un solo burattinaio. Ha avuto come maestri Mesmer e Puységur, e cura una paziente di cui si innamora che fa tanto pensare alla Dora ribelle di Freud; c’è Armand Chauvelin, che cospira per rovesciare il direttorio e dopo il fallimento di essa si rifugia in incognito nell’ospedale psichiatrico di Bicêtre da dove ha modo di osservare il mondo della sofferenza psichiatrica e i primi coraggiosi che provano a comprenderla e a cambiarla (questo romanzo sarebbe piaciuto a Foucault).

Sull’intera scena, temperata da uno stile che si accorda di volta in volta a quello dei personaggi, domina Leonida Modonesi, ovvero Lèo Modonet, meglio conosciuto come Scaramouche, attore squattrinato che prende la rivoluzione come un palcoscenico e con la sua maschera appuntita vendica gli oppressi, e diventa leggenda sulla bocca di tutti i parigini. Ma non solo: dietro a ogni personaggio/a, che amano, sbagliano, litigano, muoiono (fedeli appunto alle loro pulsioni), ci sono i verbali di assemblea della Convenzione, Marat, Danton e Robespierre, il delfino di Francia Carlo Capeto. E i personaggi che Wu Ming anima sono tutti esistiti, come documenta il capitolo finale, che rivela se ce ne fosse bisogno il lungo e meticoloso lavoro storico e di archivio fatto dagli autori.

L’armata dei sonnambuli è come una millefoglie: chi può contestare dicendo che la leggerezza è sinonimo di supeficialità, non l’ha mai morsa nemmeno una volta. Le centinaia di pagine si mordono mentre lo zucchero sale al cervello e aiuta a pensare a quello che eravamo e alle donne e agli uomini che siamo diventati, storie tra la storia.

Ps. Wu Ming1 mi ha fatto un gran bel regalo, così io per ricambiare ho promesso che avrei letto il libro davanti alla moschea Badshahi di Lahore, e così ho fatto (perché anche dove si leggono i libri ha una sua cruciale importanza). Guardando lo spiazzo antistante l’area di preghiera, costruzione imponente e suggestiva, ci ho visto più volte la maschera di Scaramouche.

 

 

 

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