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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

La legge degli apprendisti stregoni

5 Marzo 2014
di Elettra Deiana

A “mettere in sicurezza” una legislatura dovrebbe pensare la buona politica, perché una legislatura, se ci fosse buona politica, dovrebbe durare di norma i suoi cinque anni, con il legislatore impegnato a darsi da fare per il bene del Paese. Non può essere invece messa in sicurezza attraverso colpi di mano maturati in ambito extra parlamentare e per via di scelte inaudite, che hanno lo scopo fondamentale di inibire nei fatti la possibilità di voltare pagina, ricorrendo alla “normalità” delle urne, quando ciò si renda necessario.
Questo succede per il gioco perverso delle convenienze partitiche, perché appunto la politica è guasta fino al midollo. Siamo a questo punto, questo è il significato del nuovo accordo Renzi/Berlusconi, di quella metaforica fumata bianca da Palazzo Grazioli che ha sancito l’accoglimento da parte di Forza Italia della proposta del deputato del Pd D’Attorre di sganciare il destino della Camera da quello del Senato, prima ancora che esista uno straccio di legge costituzionale che ci faccia capire che fine farà il Senato. Cancellato, ridotto, trasformato in qualcosa di assolutamente diverso, opzione questa che, guarda caso, solleva molti dubbi, perplessità e critiche da parte del Presidente Grasso.
Nessuno lo sa. Sappiamo però che le opinioni sono divaricanti e soprattutto che sarà arduo, quasi una missione impossibile, che il Senato decida in tempi rapidi la sua cancellazione in istantanea. Intanto sappiamo che non ci sarà più legge per rieleggerlo. Ma, dicono i furbi e chi li protegge con interpretazioni giuridiche benevole, in caso di necessità, si potrà ricorrere al dispositivo elettorale disegnato dalla Corte con la sua sentenza del 4 dicembre.
Giusto, ma quel dispositivo è un testo di giudizio, non un disegno di legge compiuto, che fornisce criteri di orientamento, senza possedere, per esempio, la parte tecnico politica che lo renda operativo. Ha bisogno di passaggi, di messe a punto e altro. Non è automatico. E, soprattutto, il combinato disposto tra la nuova legge elettorale in discussione alla Camera e il lascito della Corte mettono insieme due sistemi antagonisti in radice: alla Camera ultra maggioritario, al Senato ultra proporzionale. Delle due, l’una: o la Corte, a un certo punto di questo psicodramma nazionale, anche su richiesta di un singolo cittadino, come essa stessa ha stabilito nella stessa sentenza contro il Porcellum, dichiarerà incostituzionale la patente, sfrontata incongruenza dell’accoppiamento tra i due sistemi elettorali, oppure se costretti a eventuali nuove elezioni senza che la corte intervenga, avremo davanti l’orizzonte claustrofobico delle infinte larghe intese.
Apprendisti stregoni appunto. Ma intanto soprattutto un pericoloso vacuum legis. E assenza di una legge, quella elettorale, che ha a che fare in radice con la regolarità del funzionamento ex Costituzione dell’ordinamento democratico. Ma per il Senato non c’è problema, ha sostenuto da Tunisi un radioso premier, incurante del gioco al massacro delle regole. A lui interessa soltanto il cronoprogramma. Renzi ha deciso che nel giro dello stretto necessario il Senato sparirà e dunque non c’è bisogno di affannarsi per trovare la quadra sui tempi di realizzazione della legge elettorale, incalzato com’era da Alfano la cui unica preoccupazione è sopravvivere, finché è possibile, e temeva come il diavolo l’acqua santa che Renzi, con la nuova legge elettorale in tasca, la trasformasse nella pistola fumante di nuove elezioni.
Renzi è quello che è. Si è dichiarato, ha dato prova del suo senso della velocità con la defenestrazione extra parlamentare di Letta, si conferma ogni giorno. Inquietante non è lui. E’ il silenzio complice che cresce intorno a lui e che scava in profondità nel senso e nel sentimento di ciò che ancora rende un bene irrinunciabile la democrazia.
Esistono degli elementi di automatismo nel funzionamento della democrazia e delle sue istituzioni che, se appunto funzionano, ci danno in ogni momento la conferma che si vive in un sistema democratico. Ci danno sicurezza, ci fanno sopportare molte cose che non ci piacciono. Almeno ancora a un numero grande di uomini e donne del nostro Paese, questo ha ancora valore. Se invece quei meccanismi vengono disattivati o inibiti , la democrazia è fortemente a rischio.
Sappiamo che viviamo in una democrazia sempre più formale, e sempre meno in grado di dare risposta alle trasformazioni di ogni tipo dell’epoca che viviamo, perché i disastri economico-sociali sono quelli che sono e l’insipienza autoreferenziale dei partiti è diventata opprimente. E sappiamo anche che tutto ciò produce l’affievolirsi del senso della democrazia. Ma c’è un aspetto essenziale che va recuperato, prima che sia tardi, non può essere buttato nel macero delle cose inutili, perché finché questo aspetto sussiste esso fa la differenza tra democrazia e autocrazia, tra possibilità di recupero della sovranità popolare e sua definitiva cancellazione. Cancellato in nome, per esempio, dei superiori nonché indecifrabili “interessi degli italiani”, il mantra a-democratico che trasversalmente infiocchetta il blablare inutile dannoso di troppi esponenti politici. Questo aspetto da recuperare con forza è l’insieme dei dispostivi istituzionali e costituzionali, l’applicazione delle leggi, il controllo di legalità e altro, cioè quel nocciolo duro di funzionamento ex Costituzione che garantisce che le cose vadano avanti comunque. E’ questa tramatura di insieme che non può diventare materia dell’arbitrio della politica o di chi per essa.
La legge elettorale è uno di questi elementi. La certezza che il ricorso al voto popolare è possibile, in qualsiasi momento di crisi non risolvibile per via della dialettica parlamentare, non è un lusso, un accessorio, un di più ma una condicio sine qua non della democrazia. Da tempo viviamo in stato di emergenza, di forzatura oltre misura in senso politico da parte di istituti che dovrebbero avere solo una funzione di garanzia e tutela costituzionale. Ma c’è una differenza di fondo, proprio perché gli istituti di garanzia sono appunti di garanzia, con tutte le forzature che possiamo individuare e criticare, operano in quell’ambito. Ora siamo a un passo ulteriore. Molto più pericoloso perché il passo è nelle mani esclusivamente della politica, del sistema dei partiti e dei giochi di potere e sopravvivenza di una classe politica che è quella che è. Pessima, con rare eccezioni.

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