Storie / Corsivi

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In una parola / Silenzio

2 Gennaio 2014
di Alberto Leiss

Questo articolo è uscito sul manifesto del 31 dicembre 2013 con il titolo: Tacet, il libro. Silenzio interiore, sempre meglio dei tanti “auguri”.

Come molti amici del Crs (Centro per la riforma dello stato) ho ricevuto nei giorni scorsi gli auguri del presidente Mario Tronti. Sono rimasto piuttosto stupito del fatto che l’augurio era volutamente limitato al “buon Natale” e non anche alle “buone feste” e all’immancabile “felice anno nuovo”. Questi – afferma senza esitazione l’autore di Operai e capitale – sono “auguri borghesi”. Mentre il Natale, “ il mistero del Dio incarnato, che rovesciò il mondo degli uomini, dal sotto al sopra e una volta per sempre, ci appartiene. Non è necessario credere per appartenere all’Avvento”.
Ho troppo affetto e rispetto per Tronti: forse per lavarmi, almeno un poco, della colpa piccolo borghese di aver indirizzato innumerevoli saluti di “buone feste” e “felice anno nuovo” a destra e a manca, lungo tutta la vita, ho seguito disciplinatamente il suo consiglio successivo.
Leggere le profonde parole sul silenzio di un sacerdote e raffinato letterato, Giovanni Pozzi, contenute in un libriccino appena riedito (Tacet, Adelphi, 42 pagine, 7.00 euro).
Oggi il mondo è abbagliato da troppe luminarie, tanto da attenuare la differenza tra il giorno e la notte e da appannare le stelle, e continuamente attraversato dalla cacofonia del rumore mediatico. Cercare di imparare dalla tradizione mistica come raccogliersi in solitudine e vivere il silenzio quale necessaria introduzione all’ascolto e all’invenzione di parole dotate di senso, può apparire allora il suggerimento più attuale e necessario.
Sono d’accordo (e benedetto il Natale anche perchè per due giorni almeno non escono i giornali… mi viene in mente che il vecchio Amendola ne era invece scandalizzato!). “L’arma del silenzio – dice ancora Tronti – contro la dittatura della chiacchiera”.
Fino a un certo punto però. L’esercizio più arduo credo sia saper creare con udito e vista, cervello e cuore, quella condizione di giusto vuoto – chiamiamolo pure un silenzio interiore – per ascoltare e distinguere, nella confusione dei messaggi e nella caotica sequenza di immagini, ciò che ci parla davvero. Insomma, restare immersi nel presente senza farsene sopraffare. Ascoltare il fortissimo di una musica dissonante e riuscire a percepire dove si nasconde il tema.
Restiamo nell’ambito cristiano. Francesco ha citato tra i suoi maestri quel Michel De Certeau, gesuita allievo di Lacan, che riconobbe il valore simbolico della rivoluzione del ’68, e che studiò poi, alle soglie degli anni ’80, l’invenzione del quotidiano dal basso, nonostante o contro il potere delle istituzioni. Un’indagine, un ascolto, che dovremmo ritentare.

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