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La reputazione della violenza maschile

21 Novembre 2013
di Letizia Paolozzi

La settimana scorsa, il 14 e 15 novembre, si è svolto a Parma il convegno “Disonorare la violenza. Le radici culturali della violenza maschile”. Un confronto assai ricco tra competenze diverse (storici, sociologi, psicologi, uomini impegnati per una nuova identità maschile) e tra uomini e donne, promosso da Università, Regione Emilia Romagna, dal Centro Liberiamoci dalla violenza di Modena, dai servizi sanitari locali e dall’associazione Maschileplurale. Ne parleremo ancora e più diffusamente. Pubblichiamo una sintesi dell’intervento che ha svolto Letizia Paolozzi.

Sul “Disonorare la violenza”. Se ne è discusso a Parma affrontando questa che è vicenda di lunghissimo periodo, dove gli uomini esibiscono nei paradigmi e dispositivi culturali (ma non solo) virilità e potenza, forza e prevaricazione, disprezzo della vita e istinto di morte.
Immaginatevi un King Kong costretto ad abbandonare quel terreno simbolico patrilineare e patriarcale che ha frequentato per secoli. Ecco il gigante dai piedi di argilla al quale sta scavando la fossa la politica delle donne, il modo di produzione (non più delle mani callose ma della Rete) nonché la democrazia.
Eppure, il malvagio gigante (al contrario di quello del film del 1933 che era abbastanza simpatico) si accanisce proprio sul femminile. Come possiamo combatterlo? In Italia, generalmente ci si aggrappa alla legge: con la vittimizzazione delle donne; con la riduzione a problema penale di un problema che è culturale e sociale e, soprattutto, sentimentale, erotico, passionale. Perché sì, nel rapporto tra i sessi non si può prescindere dal nominare l’amore, altra faccia della violenza.
Nelle “Lettere d’amore di Enrico VIII a Anna Bolena” (tradotte da Iolanda Plescia, pubblicate da Nutrimenti) compare (non è la prima volta e non sarà l’ultima) l’ossessione dinastica del figlio. Ma anche quella del potere. Non conta l’uomo; conta il corpo del re che quel potere deve inverare e conservare attraverso la prole maschile.
Notate, osserva Nadia Fusini nel bel saggio, il sovrano nei quadri con la braghetta gonfiata a rappresentare la potenza procreativa. Se all’inizio tra Enrico e Anna passa una corrente di intensità travolgente, i secondi fini non ne sono esclusi. Lui vuole l’erede; lei non vuole il bastardo. Ambedue – in effetti – hanno un problema di reputazione.
D’altronde, Anna così come è stata amata, andrà all’opposto odiata e screditata, accusata di incesto, fornicazione, comportamento “francese” quando Enrico decide di liberarsene.
Venendo all’oggi, la virilità se non è più collegata direttamente alla violenza materiale, resta comunque una dimostrazione del potere. Fino a un certo punto.
Ingordigia sessuale, fierezza nel collezionare corpi femminili, conquista predatoria della femminilità: questa concezione sessuata della politica la ritroviamo nel rapporto tra “Il duce e le donne” (di Mimmo Franzinelli, edito da Mondadori) e nel commercio galante di Silvio Berlusconi (sullo scambio ineguale tra sesso e potere e denaro hanno lavorato Boccia, Dominijanni, Pitch, Pomeranzi, Zuffa).
L’esibizione della virilità non è detto che abbia giovato a Berlusconi. Agli occhi dell’Europa, prima di tutto. E poi di quel pezzo del Pdl che ha deciso (fuori tempo massimo?) di staccarsi dal suo leader.
Qualcosa di simile deve essere accaduto con il calo del numero di biglietti della Ryan Air: troppe discussioni sfinenti per una borsetta che le signore vorrebbero tenersi al braccio; troppe offerte di panini, lotterie, prodotti inutili durante il viaggio. Così i viaggiatori sono diventati testimonial della affidabilità (o inaffidabilità) della linea aerea per una questione di “Brand Reputation”.
Intorno alla reputazione di un marchio, di un premier, di un uomo c’è da dare un giudizio, da esprimere una ripulsa. Con lo scopo di “disonorare la violenza” e le relazioni così smaccatamente strumentali.

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