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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Giovani o vecchi, il coraggio di cambiare

4 Luglio 2012
di Letizia Paolozzi

Chi ha il coraggio di cambiare? Noi, ha detto Cesare Prandelli, riferendosi alla “sua” Nazionale di calcio. Sarà anche vero che ha convinto la squadra a rinunciare al “catenaccio”. Tuttavia, nella partita con la Spagna non c’è stato poi un grande rimescolamento: “Sarebbe stato un mancare di rispetto verso chi ci ha condotto fino alla finale”.
Appunto. Rispetto, riconoscimento. Retorica e lacrime (“Un Paese di piangenti” scrive Barbara Paolombelli sul “Foglio”). Cambiare non è facile. Per ragioni buone, più spesso cattive: troppe concrezioni di potere, troppe abitudini sclerotizzate, troppi ripiegamenti e difesa di rendite di posizione.
Il sindaco di Firenze, Renzi (cantore della “rivoluzione della bellezza” tra Dante e Twitter, tra Biscardi e Mary Poppins), ha perorato la necessità di rinnovare tramite rottamazione. Usciremo dalla crisi sostituendo uomini (donne se ne vedono poche – per fortuna – in questo campo di feriti) che hanno accumulato esperienza ma soprattutto sconfitte con sindaci alternativi, grillini doc, dirigenti del “nuovo soggetto politico” Alba?
Non so. Forse nella Nazionale, ci fosse stato un tizio come Jordi Alba, più un diverso ritmo, movimento, capacità di possesso di palla, magari le cose sarebbero andate a posto.
In politica no, in tempi di odio anti-casta, non c’è sicurezza che le cose possano assestarsi con un disegno più plausibile e assennato finché tutto l’interesse si attizza sull’essere parlamentare, sul teatro d’ombre delle elezioni, sul fare una lista elettorale, un nuovo partito. Rinnovarne i vertici non pare che basti a trasformare una società.
Ieri è uscita la cifra del 36 % di disoccupazione giovanile, calcolata sulla  fascia d’età tra i 16 e i 24 anni e tutti si sono precipitati a ripetere, come il nostro commissario tecnico che la colpa è della gerontocrazia. Intanto, a sedici anni è praticamente permesso, per legge, aiutare solo la mamma a lavare i piatti mentre, contemporaneamente, assistiamo a una crociata contro i vecchi (dopo quella contro “i bamboccioni”).
Crociata nella quale la distinzione la fa la scheda anagrafica: il giovane diventa meritevole per definizione; il vecchio un appestato in ragione del suo essere fuori produzione. Non più utile, non più desiderabile (soprattutto se il declino riguarda il corpo femminile).
Forse, per contrastare la retorica della scheda anagrafica, si potrebbe cominciare a cambiare lo sguardo su di sé, ad avere cura di un’identità complessa alla quale, nonostante la fatica, molte donne – giovani e meno giovani – lavorano, per non subire passivamente gli assalti dell’età oppure le scelte ricattatorie tra maternità e salario. Così si potrebbe contrastare non dico la scarsa simpatia per la rivoluzione, per la ribellione, ma almeno la flebile voglia di mettersi in gioco di questi nostri amatissimi e dolcissimi figli.

 

 

 

 

 

 

 

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