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I capelli bianchi e il diritto di amarsi

17 Maggio 2012
di Franca Fossati

All’ inizio qualcuna aveva suggerito come titolo del libro “Vita da lesbica”, secco, un po’ brutale e capace di attirare lo sterminato popolo dei guardoni. Ma è più bello “La vera storia dei miei capelli bianchi”, con in copertina le due figurine femminili che pedalano in tandem. Si tratta infatti della vera storia di Paola Concia fino ad oggi, cioè poco più che all’inizio. Paola che ha una faccia da ragazza, il rossetto rosso vivo e i capelli bianchi.

Senza Maria Teresa Meli però il libro non ci sarebbe stato, e non solo perché Meli è una giornalista, (dichiaratamente etero), che sa maneggiare la scrittura, ma soprattutto perché alla storia di Paola si è appassionata. Se nasci ad Avezzano, ultima di quattro figli, con genitori amorosi e cattolicissimi, se diventi una mezza campionessa di tennis e campi insegnandolo, se sposi un tuo allievo, un medico buono e gentile, ti separi, ti trasferisci a Roma e poi ti ritrovi deputata della repubblica, anzi l’unica parlamentare lesbica dichiarata nonché moglie di una psicologa tedesca, c’è di che raccontare e di che leggere.

L’onorevole Concia ha pensato che denudare la propria storia in pubblico senza troppi ghirigori fosse un buon modo di aiutare ragazze e ragazzi che si scoprono omosessuali ad accettarsi e a vivere la propria natura. E  che fosse utile ai tanti che dicono “Io omofobo? Ma come, ho tanti amici omosessuali!” ripercorrere il cammino di quella ragazzina abruzzese che ha disperatamente cercato di diventare “normale”. Fino a scoprire che “è quando si cerca di creare un ordine fittizio che si produce il disordine”.

In realtà l’attrazione per le donne Paola l’aveva provata molto presto. “Mentre mio padre forgiava ai valori dell’Azione  cattolica Gianni Letta, io appena andai a scuola mi innamorai di una suora delle Pie filippine”, anche se ai tempi  non ci fu nulla di erotico. Fu molto più tardi che si insinuò il desiderio. Di Giulia, che era più grande e che l’abbracciò nuda e intirizzita sulla spiaggia dopo un bagno notturno. A quell’amore ne seguirono altri, ancora clandestini. “Sentivo il peso della mia doppiezza. E il gravame di un assurdo senso di colpa, duplice anch’esso: per essere quella che ero e, nello stesso tempo, per non riuscire a esserlo apertamente”.

Ad aiutare Paola c’è però  una madre capace di ascoltare, anche se morirà troppo presto, prima che la figlia decida di svelarsi. E ci sono le nuove madri del femminismo incontrate a Roma al circolo Virginia Woolf. E c’è anche il Pci a cui si era iscritta ragazza, per sentirsi come gli altri coetanei impegnati a sinistra. La politica però diviene passione più tardi, quando il Pci diventa DS e poi PD e Paola ha lasciato l’Abruzzo e iniziato la sua vita romana.

Ma il passo del coming out è ancora da fare. Quando accade il partito, anche se pavido e paralizzato di fronte alla questione omosessuale, non si scandalizza. Più difficile è in Abruzzo, con i fratelli, la sorella, il padre. Ed è nella seconda parte del libro, nel “racconto della Paola che emerge alla luce del sole, dopo essersi riconciliata con se stessa” che scopriamo come la vita di partito, ancorché di sinistra, non sia facile per una lesbica combattiva. Far approvare i Pacs nel programma dei DS e vederli scomparire in quello dell’Unione. La farsa dei Dico che “si perdono nei meandri del Senato”. La strumentalità della politica spicciola, il PD che accantona il confronto sui temi delle libertà per non esacerbare le contraddizioni con il mondo cattolico (un partito, dice Paola, che non mi contrasta e neppure mi aiuta).

Quando nel 2008 diventa deputata, malvista dalle stesse associazioni omosessuali che si sentono defraudate dal monopolio della rappresentanza gay, Concia gioca in proprio. Dialoga con Mara Carfagna per la legge contro l’omofobia (ma saranno sconfitte). Riesce a inimicarsi mezza sinistra andando a Casa Pound, partecipa alle trasmissioni tv più popolari, fa amicizia con Barbara D’Urso e balla il Waka Waka da Maria De Filippi. Instancabile, scorretta, pragmatica, a volte eccessiva.

Nel libro il matrimonio con Ricarda a Francoforte rappresenta il lieto fine. Evento pubblico, per dire: vedete, in Germania si può. Ma vissuto con la stessa trepidazione di ogni sposa “normale”, che si commuove ascoltando la lettera del padre ottantenne: “quello che voglio dirvi è che né a me né ad altri dovete rendere conto, solo l’una all’altra. Perché il diritto di amarvi è scritto più in cielo che in terra..”.

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