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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Le Autorevoli4/ Strada maestra della politica

13 Aprile 2012
di Bia Sarasini

Stati nazionali e Unione Europea. Chi orienta il nostro destino?

 

Si può fare politica oggi in Italia, senza porsi il problema dell’Europa? Le dimissioni del governo Berlusconi, il 12 novembre 2011 e la rapida nomina del governo Monti quattro giorni dopo, il 16 novembre,  sono state segnate dal pesante macigno della lettera inviata il 5 agosto al governo italiano dall’allora presidente della Banca Europea, Jean-Claude Trichet, insieme al suo successore ora in carica Mario Draghi. Un vero e proprio programma di governo, dalla riforma delle pensioni alla riforma del mercato del lavoro. E una banca, per quello che risulta, non è un organismo democratico. Non è un caso, ma la segnalazione di un groviglio delicato, che Mario Monti ripete spesso: «Lo facciamo non perché lo dice l’Europa, ma perché è bene per il nostro paese».

Europa, stati nazionali. Dove e quando si è deciso che l’Europa è diventata una vera e propria comunità politica? Abbiamo creato gli Stati Uniti d’Europa, abbiamo realizzato il sogno dei fondatori, di Altiero Spinelli di una vera Europa federale, e non ce ne siamo accorti? È la crisi, dicono, è il collasso delle economie determinato dal crollo del capitalismo finanziario a richiedere uno stato di eccezione. A rendere necessario l’intervento dei tecnici, che sanno come agire, non ottenebrati da ideologie. E la particolare vicenda italiana, dove un governo protervo e ridicolo aveva fatto sprofondare il paese al punto storicamente più basso della propria autostima, ha generato un grande sollievo, quasi una sospensione di giudizio. Ma non sarà il caso di pensare a questa Europa che sempre più entra nella vita di tutti? Chiedersi di quale Europa stiamo parlando?

Una decisione che rassicura la Merkel, hanno titolato i giornali il 2 marzo, dopo l’approvazione del fiscal compact da parte del Consiglio Europeo – l’organo dell’Ue in cui i capi di governo degli stati che fanno parte dell’Europa ne decidono le politiche. Una scelta adottata da 25 stati su 27, fuori Regno Unito e Repubblica Ceca. Nella semplificazione giornalistica del titolo, si racchiude il nodo che sta al centro del futuro dell’Europa: la democrazia e la politica. Il fiscal compact, che ha come obiettivi il pareggio di bilancio e la riduzione del debito pubblico, non è una scelta di tecnica economica, prevede rilevanti cessioni di sovranità. Per esempio si richiede che ciascuno stato introduca l’obbligo di pareggio di bilancio attraverso una legge costituzionale, che in Italia è già stata approvata il 6 marzo dalla Camera a maggioranza assoluta per la seconda volta, come necessario per modifiche della Costituzione,. Che non si tratti di tecnica lo confermano i titoli, che si rifanno alla cancelliera tedesca Angela Merkel, cioè la leader dello stato che di fatto determina e orienta gli indirizzi europei, largamente in funzione della propria situazione interna, cioè dei timori e dei desideri dei propri elettori. E gli elettori europei? Dove sono i leader messi sotto pressione dalle preoccupazioni, dagli umori dell’elettorato europeo?

Una domanda che suona immediatamente paradossale. A chi dovrebbero riferirsi, gli elettori europei? Al presidente del Parlamento Europeo, oggi il socialdemocratico tedesco Martin Schultz? Al presidente della Commissione il portoghese José Manuel Barroso, o al presidente del consiglio europeo Herman Van Rompuy, in carica fino a maggio di quest’anno? Oppure al presidente di turno dell’Ue, nel primo semestre 2012 la premier danese Helle Thorning Schmidt? O invece è Mario Draghi, il presidente della Bce? Che, in un’intervista al Wall Street Journal, interpellato sul futuro del modello sociale europeo, ha risposto che è «praticamente finito», parere per niente tecnico e piuttosto politico? Una pluralità di nomi e istituzioni che dicono subito della realtà in cui ci troviamo. Alcuni stati nazionali, dietro la veste dell’Europa, orientano il destino di tutti. E sotto il nome di Europa, cioè di una specie di entità superiore, dotata di una propria volontà, vengono imposti precisi orientamenti politici contrabbandati per oggettive vie salvifiche. Come se Europa e liberismo fossero sinonimi, come se il liberismo, le ricette prescritte fossero le uniche pensabili. Eppure basterebbe poco. Che succederà per esempio se l’attuale presidente francese Nicolas Sarkozy perdesse le prossime elezioni a favore del socialista Hollande? Chi sarà l’alleato di Angela Merkel?

Per chiarezza. Ora qui non si discute delle politiche, ma di come vengono scelte. Sarebbe desolante e distruttivo se a criticare l’Europa fossero solo i movimenti delle “piccole patrie”, i partiti che, come la Lega in Italia, danno voce a pretese identità etniche, a nazionalismi basati su fobie e paure. Dopo il governo Monti, dopo il governo dei tecnici, l’Europa è la strada maestra della politica. Per dare corpo a una federazione che non metta in comune solo le dure leggi del denaro, ma la passione della democrazia partecipata.

 

 

 

 

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