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Fornero, lacrime e femminismo

16 Gennaio 2012
di Monica Luongo

La ministra Elsa Fornero è chiamata in ballo ogni giorno per le misure che il governo sta per adottare in materia di lavoro. Ma non scorda di essere al tempo stesso anche ministra per le Pari Opportunità: non è dato di sapere se al momento bolla qualcosa in pentola anche per quest’ultimo dicastero ed è pur vero che la parola donna viene spesso alla bocca del premier e del suo staff, soprattutto per ciò che riguarda le assunzioni e i contratti, nonché ahinoi le pensioni.
Vabbè. Ma la ministra coglie anche piccole occasioni per “declinare il genere”, come si sarebbe detto in altri tempi e così rimprovera i rappresentanti dei gruppi giovanili di presentarsi a palazzo senza una donna e chiede che si tolga quel detestabile articolo la davanti al  suo cognome, io sono Fornero e basta, dice, esattamente come i giornalisti e il resto del mondo dicono Monti e non il Monti.
Vecchia storia, questa del sessismo nella nostra lingua parlata. Dalla fine degli anni Settanta il femminismo ne fece una bandiera, perché la nostra lingua mal sopporta alcune coniugazioni al femminile e così l’obbligo appreso a scuola costringeva a maschilizzare i sostantivi che non avevano desinenze al femminile. Ma la lingua è per sua costituzione flessibile e mutevole e così le donne se ne sono appropriate e scelgono, non tutte, di chiamarsi avvocata, oppure signora avvocato o ancora la avvocato e così via. Ma di sicuro avvocato no. Non è mai stata questione di lana caprina, quanto significante simbolico fortissimo proprio perché richiede un disapprendimento di quanto imparato sui banchi di scuola e un nuovo training di genere (ma d’altronde se abbiamo imparato a dire parole orribili quali postare e taggare non vedo dov’è lo scandalo, nemmeno se la questione non fosse tra donne e uomini ma solo una querelle grammaticale).
La resistenza è forte, molto spesso anche tra le donne. In anni passati – in occasione di corsi di formazione alle pari opportunità – mi capitava di parlare delle desinenze con il personale dei pubblici uffici che non si diceva affatto contrario a farsi chiamare “il responsabile” anche se donna ma si stupiva in seguito se facevamo notare che un uomo mai e poi mai avrebbe messo la sua firma sotto la voce “direttrice”. E la lotta è altrettanto titanica, visto che quasi la maggioranza di colleghe e colleghi giornalisti usa l’articolo dietro a cognomi femminili, mentre invece dovrebbe rifarsi alle oramai trentenni indicazioni “per un uso non sessista della lingua parlata”.

Funzione educatrice, sarebbe, e anche anti-misogina, visti i commenti postati sul blog del Corriere della Sera La 27esima ora (http//:www.27esimaora.corriere.it/), dove numerosi donne e uomini rimproveravano alla ministra la sua uscita e le ingiungevano a occuparsi più e meglio del lavoro degli italiani. A noi invece Fornero piace così: lacrime e femminismo, tenacia e declinazione della parità, il tutto non necessariamente agli antipodi.

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